È la sfida più grande, quella culturale.

L’avrete capito da come vi stiamo ossessionando con lo #Jólabókaflóð, con il lavoro editoriale, con la convinzione che «l’ignoranza non abbia mai aiutato nessuno». Personalmente insisto da tempo: la cultura non è un lusso.

Tutti gli operatori ne sono consapevoli. Di più, allarmati. La preoccupazione è generalizzata, anche tra chi aveva una rete di protezione, determinata dalla fama, da un buon contratto, da una posizione di visibilità largamente sufficiente a sbarcare un lungo lunario, secondo un luogo comune sempre più logoro.

La cultura italiana è in crisi. Lo sono le sue istituzioni e le sue agenzie. Lo sono le migliaia di persone che ci lavorano.

Non lo affermiamo per ragioni strumentali. Non è questo il punto. Non è la cultura che serve a questo o a quello, al turismo o alla attrattività delle città e dei territori.

Non è un ragionamento da pro loco, è un ragionamento politico essenziale.

Le proposte che circolano in Parlamento sono parziali, il Ministero rinvia ad accordi tra le parti che finora non si sono trovati, le Regioni non danno grande prova di capacità di intervento e di programmazione.

Ciò non vale solo per il presente, vale soprattutto per il prossimo futuro. Rischiamo di ritrovarci senza un patrimonio immenso di competenze, conoscenze, interpreti, luoghi, spazi.

Per chi ancora non dovesse comprenderne la portata e le conseguenze soprattutto, ascolti le parole chiarissime di Massimiliano Loizzi.

E di perdere un pezzo di Paese, anzi di perderlo proprio tutto. Perché la retorica secondo la quale «la cultura non è un lavoro», nota anche nella versione «con la cultura non si mangia», ha già fatto abbastanza danni prima del Covid. Dopo il Covid sarà il disastro. E non ci sarà più nulla da mangiare.

Fabrizio Gifuni in un suo celebre intervento di qualche anno fa sosteneva che la stessa divisione tra tempo del lavoro e tempo libero era sospetta e pericolosa. Ora la apprezziamo in tutta la sua gravità.

Non è infine una questione di categoria o peggio di corporazione. È una questione universale, quella di cui stiamo parlando, che lega mondi diversi, che dà emozioni e conoscenza, che offre senso a milioni di persone.

È per questo che auspichiamo tutte e tutti la massima collaborazione tra i soggetti coinvolti, a partire dall’Associazione Unita e da La musica che gira, e la più grande determinazione perché non si perda altro tempo. Perché non si perda tutto.

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