People uscirà con due libri sui confini, in autunno. Uno documentato e maturo di Piero Graglia, uno sorprendente di Stefano Catone.

Graglia si dedica al muro e a Berlino, e agli altri muri. Ci riporta sulla Sprea, a Tijuana, lungo la linea Maginot e addirittura alla Grande Muraglia. Catone ci cammina sopra, attraversando confini e correndo lungo le barriere (Catone sa fare tutto, come avrete capito, è l’«editore totale», ma mi sto distraendo e di Catone vi parlo un’altra volta).

Volevo parlarvi di questa cosa, di cui parla anche Rumiz nel suo Il filo infinito, che sapete mi è molto piaciuto.

Il libro questa volta è quello che se lo vedi in libreria pensi sia un pacco atomico, e invece.

Si chiama L’impero in quota. I Romani e le Alpi. Lo firma Silvia Giorcelli Bersani. Lo pubblica Einaudi.

Noi siamo in un paese in cui c’è gente di estrema destra che gira con le magliette che dicono che loro sono quelli con il sangue di Enea. Che era profugo mediorientale, tipo. E il bello è che Virgilio lo scrive alla seconda riga. Ma vabbe’.

È il paese degli identitarismi, tipo scatole padane, una dentro l’altra, c’è l’italianità, la venetità, la veronesità, e pure gli altri quartieri mi stanno largamente sui coglioni. E le Alpi erano tremende e inquietanti, per il mondo romano, abitate da popolazioni che a volte non si facevano “ridurre”, altre sì. La cosa interessante, almeno per me, è che Giorcelli Bersani ci racconta, in particolare nella pagine economiche e in quelle finali, che le comunità alpine erano comunità che condividevano la frontiera, il passo, il confine. Che vivevano dei transiti e dei commerci. Degli scambi, insomma.

La conquista romana non cancellò quella che era la caratteristica principale del territorio da millenni, e cioè la transfrontalierità: vivere nelle Alpi significava mettersi in relazione tra opposti versanti e praticare una cultura dell’integrazione.

Intorno alla montagna e oltre, insomma.

Contaminazioni etniche, transfrontalierità, osmosi tra il monte e il piano, forte connessione con il resto dell’impero: queste mi sembrano essere le strutture portanti della realtà alpina in età romana.

Ma veniamo al punto. Le montagne “altre”, quelle identitarie che spesso ci vengono rappresentate da autonomisti differenziati, secessionisti, padroniacasaloro, ecc. è un fenomeno recente. Che ha ben pochi fondamenti storici, se è vero che per fermare un’identità si nega anche il divenire. E l’identità la si inventa, passando sopra con gli scarponi a equilibri molto più complessi, a storie tutt’altro che lineari, anche nelle valli più remote. E ciò mette in discussione anche la presunta identità alpina – quante sono, oltretutto, le identità alpine? Quante sono le vette? E i passi e i collegamenti di cui abbiamo parlato dove li mettiamo?

Ecco, leggere e documentarci ci evita di incappare in quelle «vette altissime» che la politica da social (e da bar) spesso ci propone. Come fossero cose naturali. E, invece, sono inventate. D’insana pianta.

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