L’Arena, il quotidiano locale, titola: «Il prefetto blinda Verona». Ragioni di sicurezza, si legge nell’articolo, ma l’evocazione è tutta culturale. La città sarà chiusa al conservatorismo più retrogrado. Blindatissima. Con il Comune a organizzare, la Regione a patrocinare e il Governo con il sostegno farlocco di Fontana, che però resta agli atti, mentre il M5s sbraita senza costrutto.

Fortunatamente all’inizio delle tre giornate di Verona avrò il piacere ti discutere con Paolo Rumiz (Libreria Feltrinelli, Via Quattro Spade, venerdì 29, ore 17) del suo ultimo libro, Il filo infinito.

Per prima cosa, un’avvertenza: quando si parla di Medioevo a proposito di Pillon e dei suoi amici, bisogna fare molta attenzione perché il Medioevo era una cosa seria. E lo era soprattutto se lo si guarda dal punto di vista del cattolicesimo, reso ora irriconoscibile da questi suoi fanatici interpreti.

E quei muri che ritornano, tanto cari agli ospiti della kermesse, erano piuttosto valichi e passaggi, soprattutto per i religiosi del tempo. Per i cristiani che migravano – sì, terra di migrazioni è l’Europa – come il loro sapere, come il loro desiderio di preservare e curare ciò che in quel tempo così pericoloso era sempre a rischio.

Era, ad esempio, la filatura il simbolo del lavoro di umanizzazione dell’Europa, di cui si occupavano le giovani monache. E Rumiz è «travolto da questa straordinaria coincidenza di pensieri. Il gomitolo, il filo, la donna, l’Europa».

Erano i viaggi da un’abbazia all’altra, gli scambi tra punti geografici anche molto distanti tra loro, a qualificare l’esperienza benedettina.

Rumiz cita anche San Cristoforo, figura cara a Alexander Langer, per ricordare quelli che attraversano, che guadano fiumi, che superano le montagne.

Ricorda, Rumiz, che i benedettini fondarono l’Europa senza armi, con la sola forza della fede, collegando i luoghi nei quali si erano insediati, custodendo cultura, condividendola da un capo all’altro del continente. Mentre intorno il mondo cadeva a pezzi, e le invasioni erano invasioni per davvero, i benedettini presero i loro metri quadrati di territorio da recuperare e da salvare (bonificare!) – ai moderni vieni in mente una lezione di Vonnegut – e da lì si misero a tessere.

Era religio, insomma, che legava e collegava, come da etimologia, non sfida da crociata, non fanatismo per dividere, non materiale per lo scontro.

In copertina, nel libro di Rumiz, compare la Sacra di San Michele, che veglia sulla Val di Susa, ben prima della Tav che ossessiona i politici nostrani, luogo magnifico che in parte ispirò Eco per Il nome della Rosa. Lungo la via Francigena che Toninelli non avrebbe ritenuto poi così importante.

Rumiz si è occupato dei confini e dei paesaggi bellici della Grande Guerra, ha seguito i monti navigare, ha attraversato l’Europa in treno e con qualsiasi mezzo immaginabile. Ora si concentra su quel filo, esile, che qualcuno vorrebbe recidere usando la stessa tradizione da cui quel filo è stato dipanato. Un filo d’Europa, potremmo dire.

Mentre rifletto, incrocio, a due passi da casa, il monumento al filo spinato di piazza Isolo (27 gennaio 2009): Lo spino del filo spinato, di Pino Castagna. Rappresenta, appunto, un nodo di filo spinato, in ricordo delle vittime della Shoah e degli eccidi del secondo conflitto mondiale e mi sovviene un altro libro, La storia politica del filo spinato di Olivier Razac: un libro che corre parallelo al filo di Rumiz. Infinito anch’esso, e ahinoi molto attuale. Anche dove fu tagliato – penso al 1989, al confine tra Austria e Ungheria – ritorna, ancora più ‘spinato’ di allora.

E penso che non sia affatto un caso che chi vuole tirar su muri e rafforzare confini sia anche interessato ad alzarli tra le persone, come l’esempio ungherese – e non solo – dimostra.

Alti, i muri, perché non si vedano i diversi. Corazzati perché non ci si debba mescolare. Separati, perché altrimenti si perde la purezza. Quella stessa purezza che ritorna in tanti nostalgici e che ha già dannato l’Europa una volta. E non importa se è meno democratico, che ci volete fare, se c’è il filo spinato non serve il dibattito.

Contro i diritti civili, contro l’omosessualità, che sarebbe contro natura (soprannaturale, verrebbe da pensare), contro le persone trans* considerate alla stregua di reietti (di cui la politica nemmeno osa parlare, nemmeno quella illuminata), contro i portatori di altre identità, che vengono da lontano, come se l’identità di ciascuno non cambiasse mai, fosse data una volta per tutte. E come se nessuno di noi si muovesse, si sia mai mosso o intenda farlo.

Filo spinato dappertutto. «Non c’è mondo fuori le mura di Verona»: hanno frainteso pure il verso di Shakespeare. Oltre le mura del nostro modo di vivere ci sono solo strane creature, c’è purgatorio, tortura, l’inferno addirittura, in questo Romeo riletto da svaporati.

Dentro le mura di Verona proveremo a recuperare quell’altro filo, prima che tutto si spezzi.

[Segue]

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