Marco Omizzolo ha avuto un bel riconoscimento per il proprio lavoro sul campo (in senso letterale) con il premio Treccani dedicato al giornalismo sulla rete: lo trovate qui.

Lo scorso anno segnalai la figura di Vito Gulli, come uomo del futuro. Quest’anno tocca, per me, proprio a Omizzolo. Uno studioso e un giornalista che fa un lavoro che gli italiani non vogliono fare più o quasi: occuparsi degli ultimi, raccontare le loro storie, disturbando le organizzazioni criminali e attraversando la linea d’ombra in cui alligna quel misto di quieto vivere, di “si è sempre fatto così”, di omertà e di convenienza per sé a detrimento della dignità degli altri. Un mondo organizzato con regole che non funzionano e che sembrano fatte apposta per non funzionare, per assecondare lo schiavismo della porta accanto, che nemmeno la sovrumana retorica di Expo ha saputo scalfire.

Marco si occupa di questioni che riguardano l’immigrazione, i diritti umani, lo sfruttamento, il commercio di armi, le trame occulte che – parlando di migrazioni – si preferisce non discutere, non considerare, perché nascondono interessi indicibili e rompono il giochino per cui il male viene solo da fuori, noi no, noi siamo bravissimi e ospitali. E se a volte siamo anche caporali, che cosa volete che sia.

Un lavoro che Omizzolo fa da solo, senza ‘coperture’, rischiando in proprio e cercando ogni volta che può di andare fino in fondo, nell’analisi sociologica, nell’esporsi a livello locale e nazionale, non senza le ovvie conseguenze che ciò comporta.

Con Stefano Catone ha lavorato a una pubblicazione, Expo della dignità, che ha descritto (ma ora possiamo dire purtroppo solo: immaginato) quello che avrebbe potuto essere un anno dedicato al riscatto nel mondo agricolo, per troppi lavoratori ridotti a condizioni ottocentesche, proprio nell’epoca del cibo come filosofia, della tv con i fuochi sempre accesi e delle ricette come unici trattati del vivere contemporaneo.

Sarebbe improprio affermare che Omizzolo va controcorrente: in realtà l’uomo che ha vissuto tra i Sikh del Pontino segue proprio quella corrente di persone e di soldi, di angurie e di droga, di armi e di violenza che costituisce una componente essenziale di ciò che noi chiamiamo immigrazione. E che riguarda, come accade puntualmente, soprattutto le donne, vittime due volte di questo fenomeno.

A lui l’augurio di lavorare sempre così e di fare altre cose insieme, nel 2016: chissà che passata la buriana, non si faccia davvero qualcosa.

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