Leggo che anche Michele Serra la pensa come me: a furia di ultimatum, se solo fossero veri, nella politica italiana non rimarrebbe più nessuno.

Negli ultimi giorni è tutto un aut aut: o me, o il Senato. O vinco alle europee, o mi ritiro. O così, o lascio la politica. O così, o salta tutto. Chi non è d’accordo, è fuori. Chi non si allinea, è perduto [le frasi sono tratte dai discorsi pubblici dei tre maggiori leader della politica contemporanea e sono perfettamente interscambiabili].

A me sembra che quando la politica arriva al ricatto permanente, ad un caricaturale stato di eccezione, al perenne lamentare il pericolo della fine del mondo, ci sia proprio da preoccuparsi.

Siamo il paese dell’ultima spiaggia (sarà per via della lunghezza delle nostre coste, chissà, un tratto peninsulare dell’animo), dell’ultima speranza (che, tra le dee, è ultima di suo), dell’ultima possibilità. Del diluvio dopo di me e di noi. Della tragedia imminente. Tutti sanno che non è vero, a cominciare da chi pronuncia queste frasi. E tutti lo ripetono, almeno da tre governi a questa parte, parlando di sé, ovviamente.

Facciamo che siamo alla penultima. Che poi comunque ci sarà un domani. E che non siamo così decisivi, da soli, per cambiare il futuro dell’umanità.

E facciamo anche che chi pronuncia simili enormità, se poi perde, per esempio, se ne vada davvero. Perché a volte – quasi sempre – smentiscono e ritornano.

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