Era una sonnacchiosa domenica di agosto, a Verona come nel resto della pianura padana. Cielo velato, temperatura e umidità nella norma, a metà pomeriggio tutto è cambiato ed è stato spaventoso, soprattutto in alcune zone, colpite duramente. Attraversando le strade allagate è stato un sollievo pensare che non ci siano state vittime.

Non è il primo evento atmosferico clamoroso che la zona abbia registrato nel corso di questa estate sospesa per mille altre ragioni. Eppure è stato devastante. E pensare che Verona, la città della destra più estrema che si può, con il sindaco iperconservatore che flirta con le frange degli ultrà più scatenati, è tra le città in cui meno ci si preoccupa, almeno al momento del voto, dei cambiamenti climatici.

Prima i schei e le tasse, poi gli stranieri e l’invasione. Ambiente? Non pervenuto. Anzi: quella destra, che qui raccoglie percentuali di voto altissime, è al lavoro da tempo non solo per derubricare la questione come se fosse marginale e tutto sommato insignificante ma per negarla come una invenzione, peggio: un complotto. Piove? Soros ladro. Hanno ragione i Trump, i Bolsonaro, i Salvini. Già.

Eppure di questione climatica si tratta, in un territorio che dovrebbe aver maturato una particolare sensibilità nei confronti del clima, per il turismo, certo, ma anche per la sua tradizione agricola. Quella del vino, più di recente, in particolare.

Chissà se i veronesi collegheranno gli episodi come quello che in pochi minuti ha sconvolto la città alla questione del climate change, a Greta e a ciò che i ragazzi denunciano, mentre i genitori se ne fregano e qui si preoccupano soprattutto di prenderli in giro, Greta e tutti i suoi compagni.

«Pensavo meglio, questa autonomia», dice Andrea Pennacchi alias Pojana in uno dei suoi monologhi. E però l’autonomia del suolo si perde di fronte alle calamità naturali e a fenomeni atmosferici come quello di ieri: non si possono marcare confini quando si tratta di perturbazioni o di trombe d’aria. E anche il suolo, sacro e inviolabile, ne fa le spese. Padroni in casa nostra, certo, finché il tetto non vola via.

Chissà se entrerà nelle teste di chi vive e opera nelle plaghe più ricche del paese che la frequenza con cui questi eventi si ripetono, che cresce ogni anno, è collegata alle questioni ambientali e alla corsa verso il baratro che abbiamo intrapreso con convinzione molti anni fa, senza volerci fermare mai.

Ne scrivo da tempo e tra ieri e oggi dopo aver guadato alcune strade per raggiungere mia figlia e averle attraversate nuovamente con lei dopo il passaggio del diluvio ho provato l’inquietudine di chi vede materializzarsi davanti ai propri occhi ciò che denuncia. Forse altri hanno pensato la stessa cosa, mentre ripulivano il proprio negozio o facevano foto tra auto sommerse, alberi sradicati e grondaie che precipitavano. E forse alcuni, dopo aver spostato i detriti, sbloccato i tombini e raccolto i cocci, hanno pensato che sia venuto il momento di fare quella cosa che manca e che serve. Cambiare.

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