L’impianto dello «specchio riflesso» colpisce ancora: siccome ieri è uscito uno striminzito post sul lavoro del M5s in cui si parlava di disintermediazione e privilegi in tono vagamente antisindacale, gli autori del Jobs Act si sono scatenati, incuranti delle proprie contraddizioni, dopo averne dette di tutti i colori sui sindacati fino al giorno prima.

Ormai non passa giorno che nella politica italiana non si traduca in un ping pong dei due partiti della nazione, trasversali e post ideologici. Allo specchio, continuano a lanciarsi contumelie, ma in molti casi, come su immigrazione e lavoro, due temi di estrema attualità, sembrano muoversi sulle stesse linee culturali.

Ora, il ballottaggio dell’Italicum è stato bocciato dalla Corte costituzionale non in ragione del risultato referendario, ma per incostituzionalità propria, eppure si finge ancora che tutto si svolga in un testa a testa tra gli uni e gli altri. Che ovviamente interessa agli uni e agli altri, se è vero che non parlano d’altro se non degli altri, appunto: si qualificano in contrapposizione. Votate noi altrimenti vince quello, no, votate noi altrimenti vincono quegli altri.

Non è servito l’insegnamento dell’«agnus day (non Dei)» berlusconiano, che ci ha ricordato che c’è un convitato di pietra, né ciò che sta accadendo alle Presidenziali francesi, dove la strategia del voto utile rischia di ribaltarsi, a sinistra e anche al centro.

In verità ci sarebbe anche chi non è convinto né della deriva del Pd né della struttura dei 5s e forse vorrebbe anche qualcosa di diverso da votare. Solo che il primo ‘lavoro’ da fare è proprio quello di spiegare – gli esempi non mancano – che è lo stesso quadro politico a non reggere, una dialettica urlata e poco riflessiva su ciò che c’è da fare. Ed è il compito di chi non si riduce allo «specchio riflesso»: compito arduo, ma non impossibile. Basta volerlo. Oltre lo specchio, verso le ‘questioni’ essenziali.

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