Seguo da tempo ADP e non potevo non leggere il suo Giochiamo ancora (un messaggio, quello del titolo, molto preciso nei confronti del presidente di una società di ingrati, che Alex spiega alla fine del libro con parole molto chiare).

Ci sono mille cose che ti tornano alla mente, proprio una vita intera, perché Alex è il calciatore con cui molti di noi sono cresciuti. E sono diventati, più o meno, grandi. E ieri, quando ho preso il libro, sullo scaffale a fianco, in libreria, c’era un saggio di Agamben sul «fanciullino» del Pascoli. Chissà che non c’entri con quello che sto scrivendo, con la storia di un eterno ragazzo (che è anche un ragazzo eterno), che voleva fare il calciatore, ma gli sembrava troppo scriverlo nel tema delle elementari, che gli tremavano le mani quando giocava a ping pong, che giocava fino allo sfinimento, fino a che scendeva la sera, e oltre, come vuole fare ancora. Per sdraiarsi, chissà quando, sull’erba e sul suo buon profumo.

Un ragazzo che ha un talento smisurato, ma gli hanno sempre chiesto qualcosa in più, e lui non è sempre stato nelle condizioni di darla, quella cosa in più. E ci ha pensato su parecchio. E ha imparato dalle sconfitte, dagli infortuni, dagli errori. E ci ha messo la voglia di quella rincorsa che personalmente non dimenticherò.

Infatti, una sera di luglio, in Germania, ma anche in Italia, perché è successo in tutte le case di tutti gli italiani, Alessandro ha fatto gol. Un gol nel sette, come piace a lui, con la palla colpita ‘sotto’ che gira verso il palo lontano. Non era il gol decisivo: l’aveva segnato Grosso due minuti prima; non era un gol ‘solo’ di Alex: l’aveva inventato Gilardino, su passaggio di Totti e rilancio di Cannavaro; ma quello che forse non sapete è che Alex, entrato a fine partita senza grandi speranze, si è fatto tutto il campo per ricevere la palla nelle vicinanze della porta tedesca: una rincorsa lunghissima, che a rivederla al rallentatore, con la telecamera dall’alto, non sembra neanche vera. O possibile. Una corsa disperata e però lucida, iniziata nella ‘nostra’ area e conclusa in quella avversaria, come se Alex avesse sempre saputo che la palla sarebbe finita lì e che l’avrebbe poi mandata a segno con un tocco da campione.
Morale: bisogna crederci, anche quando la rincorsa è lunga, anche quando il periodo non è dei migliori, anche quando tutto sembra già finito.

Forse, guardando a ritroso alla sua carriera e alla sua lunga corsa, però, è importante soffermarsi su un passaggio, che ne qualificherà per sempre il profilo. E che spiega molte cose. Scrive Del Piero:

Lo stile non è la classe, non è la bravura, non è, naturalmente, il talento. Quelli sono doni. Qui, invece, si parla di scelte.

Lo stile ha molto a che fare con l’educazione: in parte è innato, ma il resto si deve costruire giorno per giorno. È anche decidere quale persona si vuole diventare.

Ecco, lo stile, e la classe, e il talento. Grazie, Alex. E non smettere mai.

P.S.: a leggerlo ora, il mio piccolo libro di sette anni fa, comunque, fa impressione. E i 25 e-lettori che lo hanno letto, sanno a cosa mi riferisco.

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