Più tamponi, meno morti. E maggiore libertà per tutte e tutti. Sono settimane che lo ripeto, non so più come dirlo e dispiace osservare che la fase 2 sia iniziata senza che tutto questo fosse già “implementato”.

In Veneto hanno acquistato una macchina per processarne 10.000 al giorno. Costa centinaia di migliaia di euro, d’accordo, ma consente al sistema di reagire all’impatto del virus e di intervenire precocemente sui contagi e sui focolai, soprattutto.

Nel frattempo tutto si muove e chissà come andrà, se si chiuderà la parentesi, se sarà stata una parentesi, se ne avremo fatto tesoro. Se il distanziamento sociale non si tradurrà nel distanziamento, anch’esso sociale ed economico, tra chi sta bene e chi sta male, anzi peggio. Se il chiudersi in famiglia non evolverà in familismo e in chiusura verso la complessità della struttura sociale. Se la lunga pausa rimbalzerà in una ripresa diffusa delle attività o se si trascinerà in una pausa ancora più lunga, dal punto di vista economico. Se l’emergenza porterà al panico o alla saggezza.

Ha scritto Paolo Giordano:

«Non ho paura di ammalarmi. Di cosa allora? Di tutto quello che il contagio può cambiare. Di scoprire che l’impalcatura della civiltà che conosco è un castello di carte. Ho paura dell’azzeramento, ma anche del suo contrario: che la paura passi invano, senza lasciarsi dietro un cambiamento».

Per affrontare tutto questo, sarà decisiva la politica e un programma che non può che essere vasto, universale, rappresentativo delle esigenze di tutte e di tutti. Possibile parla di Fase 3, in un documento molto denso. Per riaprire la politica, perché la politica è un bene essenziale.

E lo è la cultura.

Con Andrea Pennacchi, nel giorno della cauta, sobria, circospetta riapertura, abbiamo lanciato una piccola sfida, che chiama in causa ogni Comune e ogni istituzione culturale. Noi ci mettiamo il furgone e il tampone (non in quel senso):

«Come esiste una “solution journalism” vogliamo farci carico di un “solution theatre”, in cui parte della creazione poetica è dedicata anche al modo in cui si possa andare in scena, in sicurezza, ai tempi del COVID-19 (ferma restando l’attenzione alla poetica, ai protagonisti, alle storie nuove da creare in un mondo sulla soglia di un grande cambiamento, il che – per inciso – rende il teatro ancora più necessario).

Ben vengano gli aiuti d’emergenza che verranno attuati dal MiBaCT (a patto di ricordare che son comunque soldi nostri, anticipati), persino la “Netflix del teatro” è benvenuta; auspichiamo tutti la nuova regolamentazione che provveda il settore cultura e spettacolo di tutele e diritti a lungo trascurati e ben venga il protocollo per la riapertura di set cinematografici e televisivi.

Ma a noi preme anche il teatro, quello dal vivo. Quello per cui attori e pubblico respirano insieme nello stesso spazio, sfida terribile in tempo di pandemia e droplets.

Ma non ci vogliamo arrendere, per due ordini di motivi, forse tre:

1. È fattore di coesione, memoria sociale, educazione e intrattenimento (non solo gli spettacoli, ci sono anche i laboratori nelle scuole, il teatro carcere, il teatro e psichiatria ecc.);
2. Dà da vivere a centinaia di migliaia di persone che portano a casa, quando va bene, uno stipendio dignitoso;
3. È porta d’ingresso a un modo più “alto” di vivere, più consapevole, meno spaventato.

Consapevoli della necessità di sviluppare un protocollo di sicurezza nazionale, ma anche di alcune condizioni che ci possono aiutare a livello regionale e analogie con settori simili, possiamo proporre alcune soluzioni.

La pratica dell’allenamento di squadra sportivo si può applicare anche alle prove di teatro, e forse anche ai corsi delle accademie coreutiche.

Si può pensare ad andare in scena all’aperto, in estate, condizioni in cui il virus – a detta dei virologi – è meno pericoloso, ripristinando (per il periodo di emergenza) un calendario “ateniese” che privilegi la stagione calda, finché non verranno resi adatti i teatri esistenti a sostenere una stagione invernale. Uno spazio in ogni città attrezzato dal Comune, messo a disposizione degli artisti in sicurezza (le norma esistono, già elaborate dall’AGIS a partire da proposte concrete di realtà locali come Teatro Bresci e Accademia da Ponte).

Dal canto nostro, in uno spazio simile (anche un parcheggio offerto da privati o dall’università),  noi – Teatro Boxer e People – vorremmo proporre delle presentazioni “volanti” di libri: un furgone elettrico, con un equipaggio di “tamponati” , come un A-Team ecosostenibile, arriva in un’area già attrezzata, con ingresso e uscita separati e posti distanziati, verso cui sono già convenuti spettatori che avevano prenotato online, in mascherina e guanti – come nel ‘700 veneziano. Un narratore racconta la storia del libro, magari con l’aiuto di un musicista seduto a 2 mt., poi si risale sul furgone sanificato e via, verso un’altra piazza.

Sarebbe un inizio, sarebbe un segno. E si può fare presto. E subito vale la pena di prepararlo».

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