Quando Stefano Catone mi chiese di scrivere la voce «Fascismo» del suo Dizionario Antifa (Fandango), ripresi in mano quella lezione di Umberto Eco sul «fascismo eterno». Di lì a poco La nave di Teseo l’avrebbe ripubblicato, in un volumetto che porta lo stesso titolo e che ha avuto una diffusione amplissima.

A chi volesse approfondire il concetto e la continuità storica che per certi versi non ha conosciuto soluzioni di continuità – oltre al libro di Filippi di cui abbiamo parlato giorni fa – consiglio di compulsare Me ne frego di Benito Mussolini, a cura di David Bidussa, pubblicato da Chiarelettere. È forse il volume più prezioso, perché si affida alle parole del capo del fascismo per evidenziare la loro inquietante attualità e il loro echeggiare nei comizi e nei discorsi e nelle dirette social. E se qualcuno pensa che ciò sia inconsapevole, sappia che non è così. Anzi.

Centrali, come sempre, sono le parole, prima ancora delle azioni. E gli slogan e le semplificazioni, anche, che l’azione rendono ancora più decisiva e, a volte, devastante.

Quello di Mussolini fu all’inizio soprattutto il regno delle parole, del loro uso, ma anche della loro creazione. In questo senso ha ragione lo storico George Mosse quando osserva che la nuova politica di cui il fascismo fu iniziatore si riconosce per il fatto di aver marcato un passaggio: più importante della parola scritta è la parola parlata; più precisamente la parola gridata, o forse ancora più precisamente la parola amplificata.

Parole che si compongono in una mobilitazione che conosce e frequenta sempre gli stessi argomenti, per cui qualcuno ha mostrato una nostalgia parecchio scalmanata nelle ultime ore, a cominciare dall’antiparlamentarismo e dal disprezzo per le consuetudini democratiche, che è matrice di ogni mossa del movimento e del regime.

L’unico antidoto è proprio fare il contrario di ciò che dice il titolo del libro, riprendendo forse il più fascista degli slogan fascisti. Non fregarsene, non alzare le spalle, non banalizzare, non minimizzare. Analizzare per comprendere, per riconoscere, per avere gli strumenti per contrastare le piccole e grandi derive. Che non solo appartengono a un dato eterno e concettuale, ma anche a una certa continuità storica che non si è mai spezzata davvero.

Liliana Segre – che proprio oggi compie 89 anni e che nel settembre del 1938 fu vittima di quelle parole diventate legge – parlerebbe di presenza prima ancora che di responsabilità. Esserci, non essere indifferenti. Non fregarsene, appunto.

#ilibrideglialtri

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