Il senso l’ho trovato a Ravennna.

Ero in cerca da giorni di tensione elettricità trasmissione generazione. Generazione, soprattutto. Qualcosa che legasse passato e futuro. Qualcosa che tenesse insieme le altre.

E ho ascoltato Riccardo Muti al Teatro Alighieri insegnare a giovani direttori e cantanti Le nozze di Figaro di Mozart, in una sessione di prove pubbliche, che si svolge ogni giorno in preparazione del concerto di gala diretto dai “ragazzi”, sotto la sua supervisione.

Mi sono emozionato e commosso. Ho ammirato ogni cosa. E ho pensato che quella scuola-orchestra vuole dire tutto.

Il grande che insegna, i piccoli talentuosi che ne sanno già parecchio ma a cui è spiegato qualcosa in più, quando devono entrare i legni, il piano dei flauti, il crescendo degli archi e di tutti quanti. Ma anche, dice Muti, “la sostanza”, che non riguarda solo la musica, ma il senso generale dell’opera. E del motivo per cui tutti, loro e noi, siamo lì.

E le pause in cui Muti parla di sé, dell’opera, dell’Italia.

L’Italianità non si impone: si diffonde come la cultura, è la cultura. Che si trasmette per tutto l’orbe, appunto, che si incrocia e si scambia. In questo caso con i giovani giunti da ogni confine, dopo aver superato una selezione tutt’altro che banale. Pechino, Vienna, Hong Kong, Berlino, a Ravenna. Nella storia della musica, in ogni dove.

Muti ricorda ai ragazzi: ho studiato a Giovinazzo, Bari. Non sono berlinese. Eppure ho imparato qualcosa. Lo dice con orgoglio, ma non per chiudere, al contrario: per aprire. Per far capire che in quel teatro si parla una lingua universale. Che da Giovinazzo si può andare dappertutto.

E poi a un certo punto Muti dice “la cosa”.

“Il pianissimo è sparito”. Von Karajan stava una mezz’ora, a provare e riprovare il pianissimo. Il pianissimo significa che quello che suona pianissimo non sente il pianissimo di quello vicino, diceva.

E Toscanini, ricorda Muti, ripeteva: più piano è il suono, più forte la parola.

Il pianissimo è la premessa, il contesto. Non riusciamo più a trovarlo. È tutto rumore, confusione, chiasso, voci che si sovrappongono. Non c’è ritmo, non c’è senso del Tempo, non c’è armonia, né bellezza. Non c’è sintonia, nemmeno.

I maestri ce lo dicono, e noi dobbiamo ascoltare e imparare, anche quando ne sappiamo già molto o ne siamo soltanto molto convinti. La presunzione è quello che sta distruggendo tutto. Soprattutto se maestra è l’ignoranza. Suprema maestra.

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