Era il 1994. Facevo la maturità. Il governo lanciava strali contro l'amministrazione pubblica, contro la politica, contro le tasse, contro la giustizia, contro il Sud. Il teatrino aveva un nuovo personaggio, che lo demonizzava.

La cosa si è ripetuta per molti anni. Questo è l'anno delle riforme (l'anno mettetecelo voi)!. Abbiamo sei mesi per cambiare il fisco! I fannulloni saranno debellati! Le tasse le diminuiremo di molti punti percentuali! Ci giochiamo tutto!

Come se fosse sempre un'inizio. Come se la storia ricominciasse, ogni giorno. Come se il giorno fosse quello della marmotta. E dell'eterno ritorno dell'uguale. Tutto era incipit: «C'era una volta». Anzi, «c'è una volta», perché il giorno dopo ce ne sarebbe stata un'altra.

Era tutto sempre così nuovo, il premier, i fazzoletti verdi e i cieli azzurri. Ogni giorno tutto si rinnovava ulteriormente. E le cose cambiavano poco, in peggio, ma nessuno sembrava rendersene conto. L'amministrazione pubblica spendeva come prima (e peggio di prima), la politica funzionava sempre meno, le tasse aumentavano, la giustizia non era giusta, il Sud era sempre più a sud.

Diciassette anni e mezzo dopo, come se nulla fosse, il governo ha poco tempo, dice che sono i mesi decisivi, e lancia strali contro l'amministrazione pubblica, contro la politica, contro le tasse, contro la giustizia, contro il Sud. Il teatrino è diventato farsa. E poi tragedia. Greca.

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