Lo scrivevo tempo fa:

L’idea dell’Ulivo 4.0, che non si capisce bene nemmeno che cosa voglia dire, soprattutto se sostenuta da un partito che ha distrutto il centrosinistra, che ha adottato politiche che l’Ulivo ha sempre avversato, che ha promosso parole, toni e contenuti lontani mille miglia dallo spirito del 1996.

Ora è tornato di moda l’argomento, ma non si capisce come si possa, dopo aver visto il totale annichilimento di tutte le forme di vita diverse da quelle del capo, l’aggiunta significativa di ex-berlusconiani candidati nelle regioni rosse, il recupero di chi è stato in tutti i governi possibili negli ultimi vent’anni, parlare di centrosinistra. E non si capisce come si possa, con tutto quello che è accaduto nell’ultima legislatura, dal lavoro alla scuola, dalla Costituzione alle riforme elettorali, passando per mille altre cose che sono state concepite per dividere la sinistra, anzi per eliminarla, all’interno e all’esterno.

Anni fa c’era la polemica sul trattino tra centro e sinistra, ricordate? Appassionantissima. Da qualche anno quel trattino è diventato un segno «meno»: centro meno sinistra. E l’evocazione dell’Ulivo sembra quella di un arbre magique per profumare politiche che vengono da destra e a destra torneranno il 5 marzo.

Ci hanno spiegato per cinque anni che si deve fare a meno di questo e di quello, delle ragioni di chi non è fedelissimo (interessante leggere lo sfogo di Ermete Realacci, per fare solo un ultimo esempio), per andare avanti da soli, senza scocciature. Legittimo, si intende, ma è legittimo anche non condividerlo e pensare che non c’è niente di più lontano da un’idea di coalizione, di confronto, di dialogo.

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