Nel libro La maestra e la camorrista (Mondadori) Federico Fubini riprende lo studio di Guglielmo Barone e Sauro Mocetti, due ricercatori di Banca d’Italia: un confronto tra i dati del 1427 e quelli del 2011, a Firenze, per quanto la ricchezza di allora e il reddito di oggi.

Attraverso i dati Barone e Mocetti mostrano che se la vostra famiglia stava molto bene sei secoli fa, è molto improbabile che oggi vi possa succedere qualcosa di finanziariamente davvero brutto. Tre dei primi cinque contribuenti di Firenze nel 2011 appartengono a famiglie che seicento anni fa facevano parte del 7% più ricco per il patrimonio. Sono semplicemente rimasti dov’erano, per venti generazioni. Si direbbe che un pavimento di vetri li abbia tenuti sospesi in alto. Al contrario, Barone e Mocetti fanno vedere che le famiglie dei cinque contribuenti più poveri del 2011 facevano già parte della metà meno abbiente della popolazione di Firenze nel 1427. In altri termini, benché da allora l’economia fiorentina si sia moltiplicata per dodici, nella scala sociale c’è una persistenza tremenda.

Le gerarchie rimangono intatte. Le caste, si direbbe con parola di cui si è abusato, anche. Se si blocca l’ascensore sociale, le persone smettono di avere fiducia e credere negli altri, aggiunge Fubini, riprendendo un altro studio dei due ricercatori.

Fubini insiste, riprendendo la curva del Grande Gatsby dell’economista canadese Miles Corak, che vuole misurare l’«elasticità intergenerazionale dei redditi»:

In Italia siamo socialmente cinque volte più rigidi che in Danimarca, quasi il doppio più che in Australia o in Germania, del venti per cento più di accada a un altro paese tradizionalista come la Francia. […] Le facoltà universitarie sono piene di professori dai cognomi curiosamente coincidenti, se hai una carie e torni dal dentista dopo qualche anno ci trovi suo figlio, chi ha qualche risparmio si accorge che il figlio del promotore finanziario fa il promotore finanziario. […] Il figlio di del cantante di un celebre gruppo pop è diventato un celebre dj; quello di un sociologo dell’immobilismo italiano, anche lui fa il sociologo dell’immobilismo italiano.

Anche «i discendenti dei guru anti sistema» qui da noi «diventano guru antisistema».

Come si fa a cambiare questa «società dinastica e patrimoniale»? Nel libro di Fubini c’è molto altro. Segnalo però che alla fine troviamo due cose che abbiamo associato anche noi – tra loro – nel nostro Manifesto. La tassazione dell’eredità (come negli altri paesi europei) e l’investimento sull’istruzione, fin dalla prima infanzia (come nei migliori paesi europei). Contro una «mentalità di rendita», bisogna avere un progetto di riscatto e di liberazione. Un investimento che darebbe benefici individuali e collettivi e consentirebbe di risparmiare a tutta la società nel suo complesso, se fosse diretto a tutti i cittadini, soprattutto a chi parte più «sfortunato», fin dai primissimi anni di età (Fubini cita, in proposito, un esperimento della Carolina del Nord).

Tra tante cose inutilmente rumorose di questa campagna elettorale, ecco, in poche pagine, un programma più convincente e rigoroso, più appropriato e più egualitario. Perché è sulla partenza e sulle sue condizioni per ciascun cittadino che ci si deve misurare. E consentire che vi sia il pieno sviluppo di ciascuno. L’uguaglianza va messa in cima, per prima, subito, se si vuole ridurre il disagio e non perpetuarlo. Se si vuole vivere in una società in cui il «merito» non sia semplicemente un eufemismo per descrivere le condizioni dei propri genitori, il loro reddito e la loro ricchezza e le opportunità che possono offrire o non offrire ai propri bambini. Perché si torni, tutti, ad avere fiducia.

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