In un’epoca in cui la politica non esprime certo il massimo della professionalità e dell’ambizione culturale e sociale, la pace è stata derubricata a questione che riguarda esclusivamente la società civile, gli appassionati, i buoni, anzi: i buonisti. E non più la politica.

Come se la pace non fosse un fattore politico determinante, come se la pace non fosse l’elemento che cambia il modo di guardare le cose.

Noi abbiamo voluto iniziare il Manifesto che portiamo all’attenzione degli elettori e delle altre forze politiche proprio dalla pace, da un diverso sguardo sul mondo, dalla possibilità di raccontarlo in un modo diverso, di partire da questioni che sono drammatiche, sia all’interno dei Paesi, perché anche questa corsa agli armamenti personali è molto preoccupante, sia per quanto riguarda la politica estera e le sue stesse possibilità, perché la guerra di fatto nega la possibilità di una vera politica estera.

Abbiamo indagato una serie di questioni, denunciandole, la partecipazione di imprese e comunque del settore italiano e della politica e del governo italiano alla diffusione di armamenti in Paesi in guerra, in Paesi in cui non sono tutelati i diritti civili e umani, in una vicenda contraria alla Costituzione e alla legge in vigore. La mancanza di trasparenza su queste informazioni. L’aumento delle spese militari. Un’idea stessa di politica che è molto in soggezione rispetto a un comparto «strategico» per l’economia, come si suole definire, che andrebbe certamente ripensato.

Quindi, una scelta politica fondamentale per noi, non quella di un pacifismo astratto, ma di una pace che entra da protagonista nella discussione politica. Sarà compito di tutti che questo sia un elemento centrale della prossima campagna verso le elezioni politiche.

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