Durante la campagna referendaria insistevo sulla figura e sull’opera di Angelino Alfano. Deriso da molti, è il ministro più importante non soltanto dell’ultimo governo ma, da 8 anni a questa parte, è figura indispensabile per qualsiasi esecutivo, con qualsiasi ‘modulo’.

Solo il ‘tecnico’ Monti non lo vide al centro della scena. Ma è stato alla Giustizia, alla Vicepresidenza, all’Interno e agli Esteri. All’inizio della sua carriera da ministro lo chiamavano Lodo. Fu bocciato dal referendum del 2011 – oltre a acqua e nucleare, ricorderete, c’era il referendum Alfano – ma lui ha saputo resistere. Ha avuto problemi con una donna kazaka, ma lo salvò Letta. Poi quando Letta ebbe problemi con un uomo fiorentino, Alfano non ricambiò la gentilezza. Il fratello è diventato argomento di dibattito pubblico circa la meritocrazia – dopo la sinistra ferroviaria, la destra postale -, ma Alfano non si è scomposto. Come non ha fatto una piega di fronte alle polemiche che hanno letteralmente circondato il Cara di Mineo.

Inizio a sospettare che Alfano farà il “ministro comunque”, qualsiasi sarà la nuova maggioranza nella prossima legislatura. Come dicevo, fa parte del paesaggio, come il Resegone per i lombardi.

Chi durante la campagna referendaria ci chiedeva che cosa ci facesse Brunetta vicino a noi, non se ne preoccupa più da tempo, di sedere accanto a lui. Alfano non rappresenta un problema. E quando propone cose come l’abolizione dell’articolo 18, l’innalzamento della soglia del contante o il ponte sullo Stretto, tutti ridono, ma poi seguono le istruzioni del “ministro comunque”.

Recentemente Delrio e Franceschini hanno fatto capire che loro non intendono rinunciare ad Alfano nemmeno per il futuro. Alleato di destra speculare al Pisapia alleato di sinistra, entrambi amici di un Pd che ha la vocazione maggioritaria ma un po’ meno di prima.

Un belvedere.

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