Bersani torna a casa e dice cose belle (molto) e cose confuse (ancora e troppo). Due sono i passaggi più interessanti:
A Paul Auster, ha detto:
«Gli ho spiegato che Berlusconi rappresenta un’esigenza conservatrice ben conosciuta in tutto il mondo. In più lui ci mette di suo un messaggio populista e un elemento di controllo dei processi democratici e dell’informazione. Come Bush, dietro l’apparenza caricaturale, c’è una sostanza di politica conservatrice».

A Casini, fa sapere che non gli piacciono le «larghe intese con Berlusconi». E aggiunge:
«La maggioranza deve prendere atto dell’impasse. Da parte nostra c’è la disponibilità, oggi o domani, o quando sarà, a ragionare per una fase di passaggio. Ad una sola condizione: si deve capire che si va verso un film nuovo».
Bersani ha «cercato di essere italiano» e offre in questa intervista una lettura più ricca dei reportage che riguardavano la vita quotidiana del suo staff, di cui abbiamo letto nei giorni scorsi (rabbrividendo). Sulla questione più strettamente politica, resta da capire come si possa fare un «film nuovo» con questo Parlamento, in cui gli attori emergenti sono Casini e Fini e gli altri, quelli scomodi, non sembrano interessati a recitare una nuova parte in una commedia a cui sono costretti dal 1994 a questa parte. A meno che Bossi non intenda girare un nuovo Barbarossa e rovesciare il tavolo del finto federalismo che stanno cercando di propinarci. «Ciak, non si gira!», insomma, per ora.

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