Da oltre un mese è ripreso il dibattito sulla riforma del Senato, che alterna – da oltre un anno – grandi accelerazioni (in aula) a lunghe pause tra un passaggio parlamentare e l’altro. Cosicché la ministra competente può dichiarare che la riforma è in corso da sedici mesi, la maggior parte dei quali, però – sarebbe il caso di precisare – sono passati con il testo chiuso nei cassetti delle Camere.

La questione principale torna ad essere sempre quella: come saranno scelti i senatori? L’assai discussa proposta del governo prevede – lo ricordiamo – una elezione nell’ambito dei consigli regionali (la cui scarsa legittimazione popolare è, soprattutto dopo le ultime elezioni, sotto gli occhi di tutti), che scelgono tra loro stessi e – senza criterio – anche un sindaco ciascuno. Questo – lo si è detto – creerebbe certamente quel sistema spartitorio e verticistico che ha caratterizzato la elezione di secondo grado delle province, rimaste al loro posto, ma sottratte al voto popolare.
Per questo è stato a più riprese proposto di mantenere la elezione diretta, pur differenziando il ruolo delle due Camere. Il che, naturalmente, è possibile e anzi previsto in altri ordinamenti.

Era questa l’impostazione del testo presentato da alcuni senatori della minoranza del pd lo scorso anno, anche con il nostro appoggio e la nostra collaborazione, e che avrebbe ottenuto certamente maggiori consensi, come risultava bene dal dibattito, in cui molti dichiaravano di votare solo “per disciplina”. Che per un parlamentare è sempre assai umiliante, soprattutto di fronte a una riforma della Costituzione.

Un’altra ipotesi poteva essere quella che – riprendendo il modello spagnolo e lo stesso testo della Commissione per la costituzione, istituita all’interno dell’Assemblea costituente – avevamo proposto noi alla Camera: un Senato in larga parte elettivo (alla costituente due terzi) con una quota di rappresentanti delle Regioni (i sindaci in un organo che comunque rimane legislativo non hanno senso).

Scartata anche questa, si è cominciato a ragionare – come sempre – di compromessi su compromessi, fino a figurare soluzioni un po’ astruse come quella di consiglieri regionali eletti in listini separati esclusivamente per andare a fare i senatori. Cose che si prova perfino imbarazzo a spiegare agli elettori. A chiunque ragioni con un po’ di linearità cercando di capire il perché si compiono certe scelte.

Eppure, all’esito della discussione generale in Commissione, terminata ieri, niente – o quasi – sembra destinato a cambiare circa la composizione del Senato. Prima si è provato a evitare che questo avvenisse, appellandosi all’articolo 104 del regolamento del Senato, che potrebbe escludere, secondo alcuni, una modifica della composizione in quanto quella votata dalla stessa Camera alta lo scorso agosto è stata confermata dai deputati (in una notte d’inverno) nello stesso testo (salvo la modifica di una preposizione). Ma soluzione ha visto molte smentite (soprattutto perché possono comunque modificarsi le parti connesse a quelle modificate e la Camera ha rivisto diverse competenze, da cui – come noto – dipende la composizione).

In ogni caso, la Presidente Finocchiaro ha affermato piuttosto perentoriamente che “è ineludibile che ogni decisione sull’ammissibilità degli emendamenti debba trovare di concorde avviso il Presidente della Commissione e il Presidente del Senato”, pretendendo, in sostanza, che il Presidente d’assemblea non faccia da solo nel decidere cosa ammettere e cosa no. Ma allora è stato posto il punto politico: non si può ricominciare da capo, come hanno affermato all’unisono Boschi, Finocchiaro e soprattutto – con lettera pubblicata oggi sul Corriere della sera – il presidente Napolitano.

Ora, a parte che modificare – restituendo il voto ai cittadini – la composizione del Senato non significherebbe ricominciare da capo, risulta chiaramente dagli interventi degli esperti (anche dei più concilianti, diciamo) che questa riforma richiede significative modifiche, che tengano insieme composizione funzioni, perché fino ad ora il quadro è sgangherato. In questo senso dovrebbe potersi ripensare liberamente il testo senza tenere necessariamente ingessata una parte, perché altrimenti si ripete esattamente l’errore compiuto fino ad ora… determinato proprio da quel paletto assurdo che è stato piantato per non voler far eleggere (e non voler pagare.. o quasi, perché una diaria alla fine arriverà) i senatori.

Insomma, meglio rimediare ora, che trovarsi di fronte una Costituzione irrazionale e mal funzionante. Le nostre soluzioni, anche quella più rispettosa del coinvolgimento delle autonomia che avevamo elaborato con il Senato misto, rimangono a disposizione, anche se i precedenti non ci fanno certo sperare in un loro accoglimento.

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