Paul Krugman si schiera, Joseph Stiglitz dice così. Christian Raimo, qui da noi, rilancia.

Deciderà il popolo greco, che molto ha già subito. E questo, per quanto mi riguarda, è certamente un bene, soprattutto perché chiara è la contrapposizione rispetto all’assunzione di decisioni da parte di banche e istituzioni la cui legittimazione democratica è quantomeno molto indiretta: a queste caratteristiche rispondono, infatti, i grandi creditori – Commissione europea, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale – sulla cui proposta si esprimeranno i greci. Lo faranno a seguito di una decisione del Parlamento, su proposta del premier Tsipras. Parlamento e premier scelti recentemente con un voto popolare.

Certamente, i referendum dovrebbero vedere domande provenienti direttamente dal basso (bottom-up), ma la situazione è indubbiamente particolare (e quindi, se la consultazione può vedere una connotazione top-down, è anche vero che il top in discussione è ancora più in alto).

A chi, d’altra parte, dice che si tratta di una questione molto complessa e che il referendum necessita di un consenso informato dico che ha ragione, ma ricordo che, in Grecia, della questione discutono da anni; di più: la vivono da anni.

Il mandato delle cancellerie europee, Italia compresa, è quello di dire che il no porterebbe all’uscita dall’euro.

Così lo ha spiegato il premier (con il solito tweet) e anche il Pse, purtroppo, ormai totalmente succube e incapace di aprire fronti diversi. Di fatto è come non averlo, un partito così, se poi la posizione è – alla prova dei fatti – quella della Merkel.

Ora, in Grecia, fossi greco – lo dico con molto rispetto per chi deve sovranamente assumere le decisioni subendone le conseguenze – voterei no: Tsipras ha già detto che se perdesse si dimetterebbe. E che se vincesse, non sarebbe un’uscita dall’euro, ma l’espressione della sovranità popolare: il suo non è un no all’Europa o all’euro, ma la posizione di una questione democratica imprescindibile. E la presa di distanza da soluzioni che non risolvono i problemi del suo paese.

Non saremmo – ovvio – dovuti arrivare a questo punto. È mancata l’Europa e ovviamente anche l’Italia. È mancato il Mediterraneo come spazio politico.

Non si può dire che l’austerità non va bene e poi sostenerla sempre, schierandosi pesantemente (anche oggi sul Sole, con qualche ironia di troppo) da una parte e chiudendo di fatto il dibattito. Per sempre.

L’Europa è guidata in un certo modo,  con certe politiche, con scelte di un certo tipo.

Chi le sostiene sempre, queste politiche, non può lamentarsene. E sono politiche che stanno facendo piccola l’Europa. Non grande come la vogliono presentare (leggete qui).

Il sogno europeo si è ridotto alle ricette economiche di una certa parte di Europa, che non è mai stata la nostra. Ricette che in Grecia sono state semplicemente controproducenti.

Il no greco potrebbe diventare un sì a un’Europa diversa, federalista, rigorosa ma non autolesionista, finalmente politica. Un paradosso che sconfigge i paradossi che abbiamo visto in azione in questi anni. Forse questa sì è l’ultima chiamata per l’Europa e per il suo futuro. Ma non per Atene, per tutti quanti.

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