Ieri ha fatto discutere l’editoriale di Ezio Mauro sul New Labour (in cui ci stia anche il Labour) del Party in cui si sta trasformando il Pd (qui l’articolo).

La sinistra italiana ha non solo il diritto, ma il dovere (come in altre democrazie) di parlare all’intero Paese. Ma a patto che lo faccia in nome e per conto della sua identità: questo è il punto. Un’identità certo risolta, compiuta, modernizzata, ma che si può testimoniare a testa alta senza camuffarla o renderla ambigua. Per intenderci: nel New Labour di Tony Blair c’è certo il new, inseguito da Renzi, ma c’è pur sempre il labour, che il Premier non vede.

Ora oltre al Labour che manca, anche sul New bisognerebbe aprire una riflessione, perché davvero non si capisce che cosa ci sia di moderno in uno schema vecchissimo della politica italiana (l’eterno democristiano), nel decisionismo anni Ottanta (come la cultura politica che esprime), nel picchiare sempre sulla Sinistra come causa di tutti i mali del Paese (lo ha fatto per anni quello più anziano del patto del Nazareno), nel ribadire luoghi comuni che hanno sempre fatto proseliti al bar dello sport, nel riproporre il modello di sviluppo della destra italiana nello Sblocca Italia, nell’attaccare sempre e comunque ciò che è pubblico, nel rifiutare il dialogo con i sindacati e il loro ruolo generale (facciano le trattative e non si occupino di altro), nell’attaccare l’Europa anche quando la si asseconda (cose che capitano da anni), nel proporre soluzioni miracolistiche senza parlare mai di moralizzazione del sistema Paese, di cambiamenti reali dei rapporti di potere, riproponendo in campo economico soluzioni già note.

Più che un new è un déjà-vu (anzi, déjà-view, che è più nuovo, quasi come la spending review, che poi non si fa, se non con dinamiche molto simili ai vecchi tagli lineari).

Ora, il problema però è ancora precedente, perché più che un New Labour qui si vuole fondare il partito della Nation, ovvero un grande partito inevitabilmente centrista (a volte moderatamente di sinistra, a volte moderatamente di destra) in cui ci siano dentro tutti. Si potrebbe chiamare Grand (perché è grand, non c’è dubbio), Old (perché richiama il partito della nazione della Prima Repubblica e un certo trasformismo noto fin dalla fine dell’Ottocento) Party. Con un unico dubbio: che un soggetto politico del genere possa ancora definirsi «partito». Perché un partito inevitabilmente vuole rappresentare una parte, appunto, e cerca di vincere le elezioni per andare al governo. Non rappresentare un sistema di governo, ereditato dal passato che si diceva di voler superare, in cui si sussumono tutti i soggetti politici pre-esistenti. Così è molto, certamente, ma forse è anche troppo.

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