Con Andrea Pertici, come sempre, ci siamo messi a discutere delle riforme annunciate in queste ore.

Nel messaggio di fine anno, il Presidente della Repubblica ha ricordato (per l'ennesima volta) l’urgenza di una riforma della legge elettorale e di alcune riforme costituzionali, a partire da quella del Parlamento. Ieri il segretario del Pd è tornato a sottolineare la necessità di accelerare su questi punti. Ma, mentre sulla legge elettorale – che, in realtà, sarebbe la più urgente – le ipotesi rimangono ancora almeno tre (con ulteriori varianti interne, sulle quali varrà la pena di tornare, perché è come se Renzi avesse voluto ricordare le posizioni in campo, senza esprimere una preferenza precisa), sul Senato l’idea sembra definita nel senso di farne un’assemblea di secondo livello, interamente composta da Presidenti di Regione e sindaci.

L’operazione viene presentata come taglio dei costi della politica. Che sono un argomento molto serio sul quale bisognerebbe intervenire davvero. Con urgenza e in modo organico, perché pare che l’Italia spenda ogni anno, per il mantenimento delle proprie istituzioni (organi esecutivi, legislativi e di affari esteri), un punto di Pil più del Regno Unito. Molte risorse andrebbero recuperate attraverso il taglio enti superflui, benefits assurdi per titolari – e perfino ex titolari – delle più svariate cariche pubbliche e indennità principesche per chi ricopre le stesse .

Questo per dire che vi è un eccesso di spesa su cui intervenire con la massima urgenza. Nello stesso modo è evidente che abbiamo – e non da ora – un Parlamento che non funziona bene e va quindi riformato. Ma la riforma del Parlamento, cioè della massima istituzione rappresentativa non la si può fare facendo il conto di quante indennità si risparmierebbero con la eliminazione di 315 senatori elettivi. Anche perché la riduzione del numero dei parlamentari (deputati e senatori) come la forte riduzione delle loro indennità non passa necessariamente per questa strada. Anzi, il rischio potrebbe essere che la eliminazione dei senatori elettivi porti poi a lasciare tutto il resto com’è.

Ma veniamo, quindi, alla riforma del Parlamento – ed in particolare del sistema bicamerale – necessaria per migliorarne l’efficienza. I Parlamenti dei Paesi democratici più grandi sono generalmente bicamerali, seppure a livello globale i Paesi monocamerali risultino più numerosi. Generalmente sono bicamerali i Parlamenti degli Stati federali o con un forte sistema di autonomie, per consentire un’adeguata rappresentanza ai territori. Eppure anche in quest’ultimo caso la rappresentanza non è, in genere, interamente di secondo livello. Fa eccezione certamente il Bundesrat tedesco, dove siedono rappresentanti dei governi dei Länder, ma il caso è piuttosto particolare e quest’assemblea non è ritenuta propriamente una seconda Camera.

In ogni caso, la riforma del bicameralismo – da affrontare quanto prima – non può certo partire dalla composizione del Senato. Prima di occuparsi di chi fa parte di un organo sarebbe il caso di capire cosa deve fare. Ecco, si è spesso parlato, anche in coerenza con la riforma del titolo V, di una Camera delle autonomie. Ma questa è una formula di sintesi – che certo non può significare Camera dei “localismi” – rispetto alla quale deve essere chiarito più specificamente quale ruolo concretamente svolgerà. Pare abbastanza assodato, infatti, che non dovrà più esprimere la fiducia al Governo, ma per il resto si è capito molto poco. Avrà ancora alcune competenze legislative (come una vera Camera delle autonomie probabilmente dovrebbe)? Su cosa? E in quale rapporto con la Camera dei deputati? Eserciterà funzioni ispettive e di controllo? Avrà poteri di nomina o di controllo sulle nomine secondo il sistema statunitense dell’advice and consent (forse opportuno in un Paese in cui spesso le nomine non sono sempre trasparenti)? Ecco tutto questo deve essere chiarito prima di parlare della riforma della composizione. Una volta stabilite le funzioni che il Senato deve esercitare, allora sarà possibile capire chi deve sedervi e perché.

Certo risulta difficile immaginare quali sarebbero, invece, le funzioni di un Senato interamente composto da sindaci (quali poi?) e Presidenti di Regione, persone che peraltro hanno abbastanza da fare sul loro territorio tanto che oggi sono incompatibili col mandato parlamentare.

Sono domande non banali, alle quali è il caso di dare una risposta puntuale. E urgente, per evitare che le grandi riforme non si fermino di fronte ai soliti pasticci.

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