Ricominciamo da tre. Dalle tre proposte di riforma elettorale che il nuovo segretario del Pd ha sottoposto alle forze politiche presenti in Parlamento: 1. il sistema spagnolo con aggiunta del premio di maggioranza; 2. la legge Mattarella con aggiunta del premio di maggioranza; 3. il sistema dei comuni sopra i quindicimila abitanti, con attribuzione alla coalizione vincente – eventualmente al ballottaggio – del 60% dei seggi (che il premio di maggioranza ce l’ha di suo).

La prima singolarità sta nel metodo: non si sceglie una linea ma tre, anche piuttosto diverse tra loro (per di più con ulteriori varianti, perché, ad esempio, in relazione all’ultima si dice che può essere con liste corte bloccate, con preferenze, o con collegi). Le tre linee sono più o meno quelle di cui si discute da due anni, con qualche cambiamento (sì, perché nel 2012 andava di moda l'ungherese). Agli altri, tutti gli altri, la scelta. Che questo agevoli il confronto o addirittura la soluzione – come in molti si sono precipitati a dire – è tutto da dimostrare: questa grande abbondanza potrebbe creare semplicemente una grande confusione, ciascuno cercando di prendere un po’ dell’una e un po’ dell’altra secondo la propria convenienza. Come del resto è già avvenuto in Senato, arresosi all’inizio di dicembre di fronte all’impossibilità di trovare una soluzione. E proprio l’esperienza del Senato dimostra che neppure porre alcuni più o meno generici “punti fermi” (che probabilmente potrebbero essere tratti dalla triplice proposta) porta necessariamente a buoni risultati. In commissione Affari costituzionali i senatori si sono concentrati per mesi a individuare i punti di convergenza (fino a stilare il famoso “pillolario”) ma questo non ha comunque consentito di addivenire ad una proposta in grado di ottenere almeno la maggioranza dei voti.

Nel merito, poi, la costante delle tre proposte è il “premio” (in seggi), che, in poche parole, serve a chi è rimasto in minoranza a divenire maggioranza (per legge!). La singolarità è che in due delle tre ipotesi (perché in realtà è giusto di ipotesi che si parla) il premio si aggiunge a un sistema maggioritario. Che già premia. E premia per agevolare la formazione di una maggioranza di Governo. Maggioritario più premio di maggioranza equivale a un doppio premio. Attribuito a chi ha evidentemente uno scarso consenso: un doppio premio, cioè, per nessuna vittoria.

Solo con il terzo sistema, quello del sindaco d'Italia, che per Renzi ha un qualche sapore autobiografico, si assicurerebbe la governabilità. Ma bisogna capire come sarà congegnato, questo nuovo sistema: perché l'elezione diretta del premier sarebbe un caso unico al mondo e la sua semplice indicazione, con il collegamento alla coalizione di liste, che c'era già nel Porcellum, nel caso di un doppio turno sarebbe ancora più discutibile.

Ma c’è di più. Come viene congegnato il premio? Perché dopo la dichiarazione d’incostituzionalità del Porcellum proprio su questo punto (le motivazioni della sentenza dovrebbero essere depositate il 14 gennaio), ai “premi” occorre stare attenti. Per non essere incostituzionali devono scattare solo al raggiungimento di una certa soglia (si è parlato più volte, ad esempio, del 40%) o essere attribuiti, eventualmente in misura fissa e comunque tale da non alterare irragionevolmente l’espressione del voto. Ma nel primo caso il premio potrebbe non scattare e nel secondo non servire (perché magari la prestazione del migliore è comunque così scarsa che neanche aggiungendo i seggi-premio messi in palio si raggiungerebbe la maggioranza assoluta).

Il primo caso sembrerebbe scongiurato, nell’ipotesi che si rifà al sistema dei comuni, proprio dal secondo turno, all’esito del quale, comunque, si sarebbe attribuito un grande bonus in seggi a chi avesse prevalso anche di pochissimi voti sull’intero territorio nazionale. Il secondo, invece, sembrerebbe potersi presentare negli altri due casi almeno per come ad oggi genericamente indicati.

Per tutto questo continuiamo a ritenere che, anche considerata l’urgenza di approvare una legge elettorale, che il Presidente della Repubblica, pure nel suo messaggio di fine anno, ha sottolineato con forza, si sarebbe dovuto scegliere un percorso più semplice. Quello che indichiamo da mesi: il ritorno alla legge Mattarella. A favore della quale si sono espressi, nel corso della legislatura, anche presentando proposte di legge, Pd, Sel, M5s, Scelta civica, Lega nord e il gruppo delle Autonomie, cioè un’ampia maggioranza.

Ci riferiamo, naturalmente, al vero Mattarella, senza cioè premio di maggioranza, modellato, per entrambe le Camere, secondo quanto già previsto per il Senato (più lineare e meglio rispondente agli obiettivi del maggioritario), eventualmente anche con il doppio turno di collegio, come proposto da Piero Ignazi e altri negli ultimi mesi.

Dopo di che bisogna ricordare – soprattutto a chi teme che senza premio una maggioranza non sarebbe possibile – che la conquistata della maggioranza non passa solo attraverso formule elettorali, ma richiede che si prendano i voti, convincendo – entusiasmando… si può ancora sperare? – gli elettori.

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