Ieri è stata una delle migliori giornate per il centrosinistra (e, se posso, per il Paese) da un po’ di tempo a questa parte. Lo abbiamo detto e ripetuto e ne siamo molto soddisfatti. E ne sono soddisfatti soprattutto gli elettori, che è la cosa più importante (anche perché per tanti anni è sembrato che il centrosinistra scegliesse soluzioni proprio perché gli elettori non le avrebbero capite, con i risultati che sappiamo).

Il punto politico però è tutto aperto. Non è vero che il centrosinistra abbia sbattuto la porta in faccia a Monti: è Monti che ha insistito per diventare presidente del Senato, senza lasciare alcun margine al dibattito e senza considerare che la sua richiesta-pretesa a quasi tutti – Colle compreso – è sembrata del tutto inopportuna. Ora però, va detto, c’è un problema grande come Palazzo Chigi con Scelta civica, che dovremo affrontare presto e con molta pazienza.

In secondo luogo, leggo molti commentatori che sono felici perché il M5S è andato in crisi, al Senato, dividendosi al momento del voto, tra le lacrime sincere degli eletti e le minacce del megafono. Credo che sia molto sbagliato ragionare così e cerco di spiegarmi.

Il centrosinistra che ha scelto la linea del «volo del calabrone», di un governo che tutti gli strateghi ritengono impossibile formare (ipotesi fino a ieri mattina pesantemente sbeffeggiata, anche in una parte parecchio scalpitante del Pd) non può affidarsi agli errori altrui, confidare in spaccature negli altri gruppi, dare l’idea di volere aprire un ragionamento al ribasso.

Non è con la presunzione che si deve procedere o con lo sguardo dall’alto verso il basso. Al contrario: si deve partire dal basso dell’aula parlamentare e provare a presentare soluzioni alte, al di sopra di ogni sospetto che faccia pensare a inciuci e scorciatoie. Non si devono portare via parlamentari agli altri gruppi, si deve fare in modo che tutti si possano convincere della bontà della proposta e della possibilità di cambiare le cose. Si chiama politica, questo ‘lavoro’.

Non si tratta perciò di fare mosse tattiche che possano piacere a questo o a quello, ma di dare un messaggio che possa parlare a molti, che non possa essere rifiutato con leggerezza, che parli delle possibilità che si aprono nel futuro e non solo degli equilibri del passato.

Nel Parlamento eletto tre settimane fa i giochi di potere non sono scomparsi, ma non possono non lasciare un po’ di posto, finalmente, alla rappresentanza da offrire agli elettori. E tutti si devono confrontare con una democrazia che è ancora rappresentativa (e meno male) ma che non può prescindere dall’immediatezza del rapporto con gli elettori. Lo hanno capito ieri anche i senatori del M5S: chi di disintermediazione ferisce, poi può patirne le conseguenze. Direttamente.

Rosy Bindi, ieri, scherzando, mi ha detto: lo Spirito Santo si è fermato a Roma qualche giorno in più, per rispondere a una mia battuta sulla versione mondana della «mossa Bergoglio» che stavamo individuando. In realtà, non servono interventi divini, né miracoli, è sufficiente un po’ di ragionevolezza. E di buon senso.

Sappiamo tutti che il voto incombe comunque, senza che ce lo debbano ripetere ogni minuto i peggioristi. Sappiamo però che il modo migliore per formare un governo o per ripresentarsi con dignità al voto, sia quello di fare le cose bene. Dare segnali convincenti, ispirarsi alla buona politica che Laura Boldrini ha rappresentato nel suo discorso di insediamento, rispettare le istituzioni fin dall’inizio e fino in fondo. Senza pensare al proprio tornaconto personale, perché per le elezioni c’è sempre tempo, e volerle anticipare (più di così?) è profondamente sbagliato.

Da domani si proverà a formare un governo, mercoledì ci saranno le consultazioni, Bersani farà la sua proposta (il piano A: Bersani premier con i voti di M5S e Scelta Civica), qualcuno vorrà riesumare, nonostante il voto di ieri, l’alternativa classica (il piano B: governissimo con tutti dentro, tranne il M5S), altri coltiveranno un’idea che aleggia da un po’ di giorni (il piano C, di cui abbiamo parlato più volte).

Tra rondini e calabroni, insomma, la primavera italiana è alle porte. E chissà che non ci siano altre sorprese, nei prossimi giorni, che gli strateghi di sempre non riescono a prevedere. Del resto, come sapete, sono anni che non ne azzeccano una.

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