Antonello Caporale è lo spiritoso autore delle interviste «senza rete» di Repubblica (l’ultima, feroce, è quella in cui il senatore forzista Roberto Antonione, reo di aver votato per errore l’emendamento che introduce la class action nell’ordinamento italiano, si definisce «un pirla»). Caporale è un ottimo giornalista e ci consegna un ritratto spietato di una politica a sua volta senza rete nel suo ultimo libro, pubblicato qualche giorno fa da Baldini e Castoldi, che si intitola, a scanso di equivoci, Impuniti. Storie di un sistema incapace, sprecone e felice. Al di là della denuncia dei vizi e degli stravizi del sistema politico-istituzionale del nostro paese, dal sistema ‘sovietico’ di Aosta e della Vallée al Palazzo dei Normanni di Cuffaro e soci, dal Molise terremotato e mai più ricostruito alla vergogna dei rifiuti campani, ciò che colpisce del «viaggio in Italia» di Caporale è l’angosciosa riflessione con cui il libro si chiude, in cui «il baratto concreto» si impone «tra efficienza e democrazia», per una «classe politica rimasta senza casa, senza partiti, senza ideologie» che ha edificato «in modo abusivo posti di potere e di spesa, luoghi dove il consenso è controllato e indiscutibile, difeso con ogni arma possibile nei fortilizi che ciascuno ha realizzato». Una situazione drammatica di micro-autoritarismo e di clientelismo totalizzante: «Ti tolgo la parola, ma ti garantisco la strada, forse anche il lavoro». «Una scelta che ha il suono di una condanna», conclude Caporale. Una scelta che ci richiama ad un rinnovato impegno per rilanciare le strutture democratiche del nostro sistema, per difendere quella democrazia che scolorisce ogni giorno di più.

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