Ho letto il libro (Garzanti) di Roberto Lucarella e Ludovico G. Rossi. E mi è venuta una tristezza monumentale. Non per via del libro, ovviamente, ma per quello che racconta: la storia di un giovane che ‘scala’ la propria organizzazione giovanile di partito, in un percorso iniziatico che lo conduce al successo, portandolo però a rinunciare a parecchie cose dal punto di vista delle convinzioni e delle idealità (per dirla con un eufemismo).

A ripensarci, è da quando sono nato (come elettore, per capirci) che la politica è in crisi. E che lo sono i partiti. E che siamo in una lunga «transizione» che secondo me è ormai la cifra del nostro Paese: un Paese in transizione, per sempre. Tanto che anche coloro che si sono candidati per cambiare, ora sembrano voler rinviare l’appuntamento alla prossima volta.

Sono vent’anni che si parla di un ripensamento delle forme della politica. Dei suoi strumenti. Del suo linguaggio. E penso che non ci si possa affidare a una sola persona, ma nemmeno evocare in termini generici un’idea di partito che è stata messa a dura prova. Dal voto di due settimane fa, certamente, ma prima (molto prima) dall’usura del tempo.

Il momento è venuto di affrontare la questione, non per difendere un modello o uno stile, ma per affermare un modello ripensato e uno stile completamente rinnovato. Modello e stile che tengano insieme il leader e la democrazia (che abbiamo visto andare spesso in direzioni diverse).

Oltre al governo possibile, è questa la sfida delle prossime settimane.

P.S.: il titolo del post è il titolo del libro. Gli autori sono giovanissimi. E la lettura che ci propongono è consigliabilissima.

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