Pare che abbiano fatto molto scalpore le mie dichiarazioni al Fatto, con le quali spiegavo che per me è un errore distruggere il centrosinistra per optare per un’alleanza con l’Udc (e con il Terzo Polo, perché di «forze democratiche» e di «moderati» si tratta, se ho ben capito quello che dicono nelle alte sfere democratiche).

Ovviamente, il titolo è tranchant ed estremizza quello che intendevo dire e ho detto, ma resto convinto che se il Pd optasse per l’Udc abbandonando Sel e Idv sarebbe un passaggio devastante per molti elettori di centrosinistra. E che sarebbe molto difficile fare una campagna elettorale con un centrosinistra così profondamente diviso (che nega in sostanza se stesso) e ancor più difficile parlare di futuro, con uno schema politico che ci fa uscire dalla Seconda Repubblica per entrare finalmente nella Prima. Con gli stessi protagonisti di allora, o quasi.

Se così sarà, molti si chiederanno che fare: molte delle persone che conosco, con cui ho condiviso battaglie e iniziative, dibattiti e confronti in questi anni.

Alla luce dei numerosi commenti, ho avuto conferma che le cose stiano proprio così. E che l’errore più grande sia stato, come dichiaravo al Fatto, in un’intervista parallela (sull’edizione cartacea) quello di non avere costruito una coalizione di centrosinistra credibile, fatta di confronti veri, di rapporti e di relazioni profonde e non di commenti alle interviste degli altri.

Di quel centrosinistra che non c’è più o forse, meglio, che non c’è ancora, è stata scattata solo una foto, una sorta di cartolina d’epoca (un po’ ‘seppiata’) in quel di Vasto, senza considerare l’energia delle immagini di Milano e delle altre città in cui si è votato e vinto, senza ricordare le campagne referendarie (anche quelle andate a finire male, come quella per cambiare il Porcellum) e le belle storie di piazza e però anche di proposta che hanno attraversato la politica italiana in questi ultimi e difficili mesi (a cominciare da Snoq).

Gli manca qualcosa, come ha ricordato, con parole in tutto simile alle mie (e alle nostre, pensando ad Albinea), il sindaco di Milano.

E da tempo c’è parecchia confusione sulla stessa definizione di progressisti e moderati, come cercavo di spiegare qualche giorno fa.

E allora ha ragione chi come Ricolfi denuncia, parlando di «minestrone elettorale»:

Da qualche giorno si riparla della possibilità di votare subito, ad ottobre, e non sappiamo ancora nulla. Non sappiamo se dovremo rivotare con le liste bloccate del “porcellum” oppure ci sarà una nuova legge elettorale. Non sappiamo se chi ha condanne definitive potrà essere eletto in Parlamento. Non sappiamo quali saranno le forze politiche in campo. Non sappiamo che alleanze faranno i partiti. Non sappiamo chi saranno i candidati premier. Ma soprattutto non abbiamo ancora ascoltato alcuna proposta precisa in materia di politica economica, salvo quella dei cosiddetti montiani, che propongono di andare avanti così, completando le riforme dell’agenda Monti.

Eppure, come elettori, avremmo diritto di sapere come le principali forze politiche del paese intendono evitare il default e, se possibile, riavviare un minimo di crescita economica. Ma attenzione, quando dico che avremmo il diritto di sapere, non mi riferisco ai soliti elenchi di impegni generici, velleitari, o privi di copertura finanziaria.

Ecco, siamo a questo punto. Poi uno dice che si butta nell’antipolitica. Che non esiste, anzi sì: l’abbiamo creata noi. Peccato.

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