Ne parlammo già tre anni fa, di quei voti (e coscienze e sensiblità) in uscita dal Pd e dalle altre forze di centrosinistra verso il M5S: chiedemmo si aprisse un ufficio delusi, per occuparsene e cercare di capire con un lavoro accurato quali fossero allora le ragioni che oggi sono ‘esplose’. Ora sembrano essersi accorti in molti del fenomeno che ha cambiato le sorti di questo voto (e anche di alcune tornate amministrative precedenti, quando però i voti del M5S facevano comodo perché facevano vincere il centrosinistra in molte città, soprattutto al Nord). E lo ha detto lo stesso Massimo D’Alema in direzione, per dire, che c’erano centinaia di migliaia di voti che sono passati dal centrosinistra a Grillo negli ultimi giorni della campagna elettorale (altri se n’erano già andati già).

Ora, la sfida più semplice e immediata per il centrosinistra è proprio quella di occuparsene, di quei voti, di quegli elettori e soprattutto delle loro ragioni, anche se forse è troppo tardi. E provare a capire come reagiranno se davvero, come sembra, il M5S non sarà interessato a votare nessun governo se non il proprio. E, si badi bene, con una maggioranza esclusivamente rappresentata da esponenti del MoVimento. Perché questo è il punto: se il M5S non punta a costituire nessun governo, appunto, lo fa per una scelta politica di parte, puntando a raggiungere la maggioranza assoluta dei seggi la prossima volta. Posizione legittima, intendiamoci, e dichiarata fin dalla campagna elettorale, ma parecchio azzardata, per una serie di ragioni che riguardano anche lo stato del Paese (che poi sarebbe il motivo per cui ci si candida alle elezioni, quello di affrontare lo stato del Paese e trasformarlo).

Scorrendo i commenti al blog di Beppe Grillo e le pagine a cinque stelle sui social network la questione è aperta, soprattutto da parte di chi è uscito dal centrosinistra ma dal centrosinistra proviene: che chiede – com’è ovvio che sia – che un governo rinnovato e pronto a cambiare le cose si possa e debba fare. Subito, non la prossima volta.

A quegli elettori il Pd deve parlare, oggi e soprattutto domani. E non per ragioni squisitamente elettorali, no: per motivi politici in senso stretto e pieno.

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