«Un giocatore lo vedi dal coraggio, dall’altruismo e dalla fantasia». Questa mi pare la sintesi migliore della giornata fiorentina trascorsa con Matteo Renzi. Perché c’è un fatto generazionale (inteso in senso non anagrafico, ma politico) che ci unisce, perché c’è la passione per le cose concrete, per il “da farsi”, per il cantiere in ritardo e per il degrado da sanare. Perché c’è Facebook e la rete e la “nuova politica”, ma c’è anche il contatto personale e una campagna elettorale vecchio stile, con vecchi staliniani, intellettuali organici, giovani professioniste, persone del popolo (quello senza aggettivi, né specificazioni). Perché ci sono le differenze culturali e politiche, che il Pd ama tanto enfatizzare, ma c’è anche (e soprattutto) il senso di una sfida comune. Per me Renzi e il Pd di Firenze, in questo momento, sono la stessa cosa. E hanno gli stessi obiettivi. «E chissà quanti ne hai visti e quanti ne vedrai, di giocatori tristi che non hanno vinto mai»: è, la nostra, una leva calcistica, a cui partecipiamo provenendo da vivai diversi, giocando in ruoli che non si sovrappongono e con la voglia di fare gol, ogni tanto, ogni volta che si può. E le nostre differenze, che pur ci sono, e le diverse impostazioni tattiche, le misureremo nello spogliatoio. Quando si scende in campo, però, si gioca la partita. E se uno è della Fiorentina e l’altro della Juventus, beh, questo campionato lo si gioca insieme.

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