Non tengo family day, ovvero "la versione di Pippo"

Avete presente la struttura di quel romanzo strepitoso che è La versione di Barney? Barney vuole offrire la propria versione su se stesso, dopo averne sentite di tutti i colori. Nel mio piccolo, vorrei fare lo stesso, una volta per tutte, per spiegare come vivo la politica dei nostri tempi e la temperie nella quale ci tocca vivere e operare. Due anni fa vivevo a Barcelona. Studiavo il Cinquecento italiano e spagnolo. Mi chiesero di candidarmi alle regionali e accettai con orgoglio, ma non senza qualche sofferenza, abbandonando una città a cui sono legati ricordi bellissimi. Organizzammo una campagna elettorale in pochi giorni e fu un risultato collettivo straordinario, in cui i miei meriti personali furono minimi rispetto al lavoro dei tanti che vi parteciparono. Da allora, sono iniziati i problemi. I nostri dirigenti, anziché valutare per quello che era quel risultato, si sono appassionati all’idea di ridimensionarlo, di banalizzarlo, di confonderlo. Da allora, oltre ad attacchi personali nei miei confronti anche molto pesanti che vi risparmio, si è provveduto a non rappresentare la Brianza al Parlamento. Poi è venuto Fassino a dire che avremmo avuto il sottosegretario, e il sottosegretario non è arrivato. Per senso di responsabilità, visto che ho fallito nel compito di ottenere quello che mi sembrava ovvio – un parlamentare sui trentasei eletti in Lombardia – mi sono dimesso dagli incarichi di partito. Da solo. Gli altri sono rimasti tutti lì, anche quelli che avrebbero perso qualche settimana dopo elezioni di una qualche rilevanza (come le Comunali di Milano). Mi era stato poi promesso un incarico nella rinnovata segreteria regionale, incarico che non si è potuto concretizzare per ragioni che a me non sono note. Tenete conto che la notizia l’ho avuta da mia madre: non dal mio segretario di Federazione, non dal segretario regionale, che mi aveva assicurato di farmi sapere direttamente come sarebbero andate le cose. Al mio posto, il segretario provinciale ha immediatamente provveduto a mandare una compagna meritevole, senza consultarsi con nessuno: ha fatto bene, così ‘almeno’ in segreteria regionale c’è ‘almeno’ un compagno brianzolo. Nel frattempo, sempre in ragione delle quote rosa, non sono stato nominato nel Consiglio nazionale (troppa grazia) e in sostanza non ho più alcun incarico nei Democratici di Sinistra. Vivo con disagio da tempo il fatto che non si costituisca il gruppo unico in Regione, anche perché ricordo di avere chiesto il voto dell’Ulivo. Non capisco il complesso di inferiorità verso Formigoni e verso la destra, che si traduce in proposte inverosimili su temi sensibili come quello della sicurezza (precisazione importante e a scanso di equivoci: il fatto che sia stato sempre il segretario regionale a scivolare su questi temi non c’entra con la questione di cui sopra, diciamo che per accidens le due discussioni si sono intrecciate). Giusto un anno fa proposi che si costituisse il primo circolo misto Ds-Margherita dal titolo Verso il partito democratico, lo stesso titolo che avrebbe poi adottato Fassino per la sua mozione congressuale. Ora è di moda, ma un anno fa, a me e a Marco Riboldi (l’altro estensore della proposta), poco ci è mancato che ci espellessero dai due partiti di cui facciamo parte e che dovrebbero diventare un partito solo. Detto questo, non ho mai concepito la politica come una professione e tante volte penso che avrei fatto meglio a rimanere a Barcelona o a Berlino dove mi piacerebbe vivere. Non sono affezionato agli incarichi, soprattutto quando non sono messo nelle condizioni di decidere alcunché. Trovo insopportabile l’invidia e la cattiveria che mi è stata dedicata e sto maturando la convinzione di concludere questa legislatura e di dedicarmi ad altro. Ho la fortuna di essere molto giovane e di poter ancora "cambiare vita". E ho un difetto intollerabile per il centrosinistra lombardo: dico quello che penso, non mi conformo, non mi interessa piacere a questo o a quel ‘superiore’. Per questo motivo, a Barcelona o a Berlino, vedrete, mi spediranno presto. Senza rimpianti, ma quando sento dire, anche da amici, che sbaglio ad essere amareggiato, mi amareggio ancora di più. Per parafrasare ElleKappa – per me il vero leader del Pd – non tengo family, non ho padrini e penso di potermi guadagnare da vivere anche senza fare politica. Così mi hanno insegnato i miei genitori: appassionata la mia mamma, orgoglioso e forte il mio papà. A loro guardo pensando al mio futuro, non certo alle meschinità che mi accompagnano da troppo tempo. Per il resto, ho un sogno soltanto: che Faglia vinca ancora. Perché se lo merita e perché se lo merita la città di Monza. Tutto il resto, francamente, mi interessa poco o nulla.

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