Del lodo Guenzi di cui si è particolarmente dibattuto ieri pare non sia stato notato il punto fondamentale.

Guenzi parla di redistribuzione e di tutela da parte di chi ha di più nei confronti di chi ha di meno.

Banalità, direte voi. E invece è proprio il punto che si evita ogni volta che si può da un botto di tempo.

Perché si parla di categorie, come se all’interno delle categorie non ci fossero differenze abissali. Pensate al dibattito che Pennacchi ha ingaggiato con l’eterno Franceschini: non si tratta di sostenere le grandi produzioni ma le piccole compagnie, quel sostrato di attività culturali che animano la vita delle nostre comunità.

Non il palio delle corporazioni e nemmeno quello delle contrade, ci vuole. Ci vuole che si usi la leva fiscale come si deve. E che si colpiscano le rendite per sostenere chi la ricchezza continua a produrla. E chi ne produce tantissima deve essere tassato di più, soprattutto al di sopra di una certa soglia.

Spopola la metafora bellica. Dovete sapere che quando ci sono state le guerre, la tassazione è stata spinta a livelli inimmaginabili. E se non vogliamo esagerare, prendiamo il caso del dopoguerra: come è stato realizzato il sistema di welfare universale? Con le tasse. E con aliquote che salivano, progressivamente. Ora si fermano, perché è dagli anni Ottanta che ci siamo occupati di difendere le concentrazioni di potere e i ricchissimi. Lo scrive bene Marco D’Eramo in Dominio (Feltrinelli), ne parla fino a perdere la voce Bernie Sanders.

I ricchissimi – che ricevono quotidiana solidarietà dai più poveri – sono in Italia, in Europa e soprattutto “da nessuna parte”. Stanno in luoghi segreti, protetti. E sapete come li chiamano? Paradisi. Fiscali e non solo. E questi paradisi sono ubicati in località esotiche, certo, tipo Long John Silver, ma si trovano anche e soprattutto in Europa, a due passi.

E ogni volta che c’è una crisi tremenda, sono gli unici a non perdere. Anzi, ci guadagnano.

La soluzione c’è: si chiama progressività e si chiama patrimoniale (che nella proposta di Davide Serafin e di Possibile è destinata solo alle ricchezze consistenti, è sostenibile e va a sostituire le imposte sul reddito, cercando un equilibrio anche per chi è milionario e più).

Un amico liberale, liberalissimo ieri sera mi scriveva, in proposito:

«Ormai mi ritrovo, ovunque (da Twitter all’ufficio), a promuovere l’idea di una patrimoniale, unico intervento equo per affrontare questa situazione emergenziale. Il risultato è che quelli di sinistra mi dicono di non voler pagare per gli evasori, i centristi che non è giusto perché loro hanno fatto sacrifici per risparmiare, i liberal-conservatori che non pensavano fossi comunista…».

La verità fin troppo scontata è che NON di solo debito vive un Paese. Né di raccolte fondi di milionari con il senso di colpa o la passione per il sociale – e per i social. Per fare ciò che serve, oggi e domani, scuola, sanità, ricerca di base, trasporti, conversione ecologica, ci vuole una base di partenza. E la si trova soltanto così.

Oggi mia figlia compie otto anni. Che futuro le stiamo offrendo? Non parlo di me e di sua mamma, della sua famiglia, parlo di tutte e tutti noi. E, per rimanere in tema, qual è la “successione” che stiamo dando ai nostri piccoli?

P.S.: se qualcuno tira fuori l’argomento degli evasori sappia che il contrasto all’evasione va di pari passo a tutto questo. Perché il Covid ha liberalizzato il trucco dello scontrino finto, destrutturando e defatturando, soprattutto, i comportamenti di moltissimi. Del resto c’è il Covid, si salvi chi può.

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