Ho attaccato duramente Roberto Formigoni, quando era Celeste e onnipotente, subendo anche del sarcasmo da parte sua quando chiesi pubblicamente le sue dimissioni in una grande e bella piazza milanese (#liberalasedia, ricordate?).
Ho denunciato per anni il suo sistema di potere, ho contrastato le sue politiche e le sue pratiche.
Mi sono sempre chiesto come potesse avere messo da parte 49 milioni di euro (sono sempre 49, accidenti), che gli furono sequestrati all’inizio di questa storia. E Formigoni nella vita aveva solo fatto politica.
Non penso però che ci sia da festeggiare per l’ingresso in carcere di una persona.
Se poi si tratta di un politico, osannato per anni, a cui era stato concesso di tutto e di più in ragione di un consenso smisurato, è solo un grande fallimento per tutti – per le istituzioni che rappresentava, in particolare, all’ultimo piano di un grattacielo milanese, tra le nuvole.
C’è una certa amarezza nel rilevare puntualmente che viviamo in un paese in cui si salta sul carro del vincitore come un gatto e poi da quel carro non solo si scende, si finge proprio che il carro non sia passato. «Carro, quale carro?». E quello di Formigoni era un «grande carro» in cui erano saliti tutti quanti, i potenti, certo, gli affaristi, pure, ma anche la maggioranza dei lombardi, all’insegna di un modello di cui ci si vantava in Italia e in Europa.
Formigoni ha governato in Lombardia dal 1995 al 2012. 18 anni. Un’«eternità» che sembrava, per definizione, non dover finire mai.
La prossima volta, come in altre mille occasioni, prima della condanna giudiziaria, sarebbe importante che i cittadini e chi li rappresenta si fermassero a riflettere.
Troppo facile attaccare il forte diventato debole, debolissimo, quando è stato scaricato. Più complesso e prezioso riconoscerne i difetti e le mancanze quando è in carica, soprattutto quando sono monumentali come la sua arroganza.
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