Rileggo Donatella Di Cesare e il suo fondamentale Tortura (Bollati Boringhieri, 2016): nelle sue pagine finali si parla della tortura più terribile, quella istituzionale, quella sostenuta dai governi, dalla ragione di Stato, dalla Realpolitik. Quella perpetrata a Giulio Regeni, quella di Genova 2001 (tornata d’attualità perché pare che qualche protagonista di allora fosse anche a piazza Indipendenza, per ammissione di un poliziotto condannato per la prima e molto bene informato sulla seconda), quella di mille altre storie che girano intorno al mondo, di fronte alle quali tutti esclamiamo indignati: «mai più!».

La fascetta del libro dice: «Chi tace è complice».

Da qualche giorno sta succedendo qualcosa di molto più grave del silenzio complice. Siamo al commento leggero e alla disarmante superficialità con cui molti commentatori «mettono in conto» che per fermare le barche ci sia bisogno della tortura. E che noi si possa eventualmente arrivare a finanziare – come scrivono due autorevoli agenzie di stampa – gruppi militari e violenti per ridurre i flussi di persone che si imbarcano verso le nostre coste, per affrontare un «assedio» – come viene ‘opportunamente’ chiamato – di qualche migliaio di persone.

È capitato anche a me di sentire giornalisti e politici dire cose del tipo: «anche ammesso che le modalità con cui sono trattenuti non siano proprio civili, è comunque un successo».

Che un paese occidentale alle prese con la guerra al terrorismo e alle sue violenze inaccettabili «metta in conto» una serie di violenze inenarrabili, di stupri, di ricatti, di sfruttamento e di schiavitù è un fatto impressionante. Di più, vergognoso. Uno scontro di inciviltà.

Potrebbe capitare che noi, in questo momento, stiamo finanziando come italiani e europei squadracce che torturano le persone. Brigate e milizie, guidate da un «garante» soprannominato lo zio (di Libia, verrebbe da dire, quello che si risolve i problemi), che non fanno parte di una serie tv su Pablo Escobar, ma di quello di cui parla giorno e notte la politica italiana: le migrazioni. Pare che abbiano legalizzato le milizie e quindi anche il trattamento riservato ai migranti. Tutto a posto. Se è legale, si può finanziare, che problema c’è. Del resto tutto si basa, ancora, sull’accordo Berlusconi-Gheddafi, che la sedicente sinistra allora criticava. Almeno un po’. Come le altre leggi vergogna sull’immigrazione, anche quell’accordo è rimasto così com’era.

Si tratta di crimini contro l’umanità che però passano in secondo piano, perché preferiamo commentare il decisionismo di questo o quel politico o la ricetta di qualche altro stratega in pectore.

Si parla molto e giustamente della orribile violenza dei criminali che hanno violentato una donna e una trans a Rimini. Si sappia che una lunga catena di stupri arriva da Est e da Sud, da quelli perpetrati dai terroristi dell’Isis alle donne yazide e non solo, ai trafficanti del deserto che trasportano migranti, alle donne nigeriane che si affidano a criminali che le consegnano ad altri criminali e poi a uomini bianchi e felici di abusare del loro corpo (a proposito di domanda e offerta) e prima di tutto alle milizie che ne contengono i flussi (Di Cesare scrive: «le violenze sessuali accompagnano le sevizie, sono l’immancabile basso che scandisce il ritmo della tortura»).

Si colpevolizzano le Ong sulla base di presunti rapporti con i libici e i rapporti con i libici li intrattengono le «Organizzazioni governative», a cominciare dai leader della civilissima Europa, che ne discutono con soddisfazione e si complimentano tra loro. Servizi segreti dappertutto, che tutto sanno e poco spiegano. Una Guardia costiera libica che nemmeno esiste, come ha scritto il Post, qualche giorno fa.

Mi chiedo se qualcuno se ne renda conto: si tratta di un problema morale abissale, altro che convenienza politica. Preoccupati dalla violenza (in calo, peraltro) a casa nostra, autorizziamo la violenza più brutale e sistematica ai nostri confini, come se fosse un aspetto secondario. Se avessero letto Di Cesare, scoprirebbero che la catena della tortura e della violenza funziona proprio perché, anche senza ordinarlo, il potere superiore autorizza e consente certe pratiche. Davvero nessun problema, caro Gentiloni? Lei così mite e taciturno frenerà e chiederà di fermare questa brutta storia e di non scrivere altre pagine di questo «romanzo coloniale»?

Il codice Minniti non ha alcun merito nell’avere ridotto gli sbarchi: è servito solo a legittimare la delegittimazione – avviata da altri – di chi faceva soccorso in mare, accanto alla nostra Marina e alla nostra, di Guardia costiera, peraltro. Il merito ce l’hanno quelli che le barche non le fanno partire.

Il partito del governo e quello dell’opposizione pensano di guadagnare qualche voto per le loro cause elettorali, senza rendersi conto che mentre spingono migranti verso i campi libici, quei voti li spingono sempre più a destra. Le cause politiche profonde, invece, non interessano a nessuno.

Invertendo causa e effetto, dopo avere sbaragliato le Ong, ci teniamo le brigate libiche. Così quest’anno arriveranno 10.000 persone in meno, in un paese di 60 milioni di abitanti in una Unione 10 volte più grande.

L’Europa potrà continuare a fare finta di niente: a fare i propri affari e le proprie guerre in Africa e dove le conviene. A destinare risorse ridicole per salvare un intero continente, assediato da siccità e fame. Il sistema dell’accoglienza d’emergenza continuerà a funzionare male. E tutti vivranno felici e contenti. Spiace per le sevizie.

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