Sono ironico, ovviamente. Non li hanno riaperti, nonostante la promessa auto-contraddittoria del governo di un mese fa.

People però anche attraverso i suoi autori e sostenendo Unita non smetterà mai di farlo, anche perché vorremmo che ci si organizzasse almeno per l’estate (come chiedemmo – invano – anche lo scorso anno).

Vi propongo perciò due interventi, rispettivamente di Massimiliano Loizzi e di Andrea Pennacchi. Sono di qualche tempo fa ma nel frattempo non è cambiato nulla.

«Stiamo perdendo il sonno», dice Loizzi, «ma c’è qualcosa di ancora più grave: stiamo perdendo i sogni».
Arrivati alla fine di questo anno infame, vi prego, anzi vi supplico, quando incontrate una lavoratrice o un lavoratore dello spettacolo, non domandatele o domandategli: «come va il lavoro?», perché va malissimo. È una tragedia, è tutto nero, anzi è uno schifo. Non possiamo lavorare ed è incomprensibile che lo Stato ci ha completamente abbandonati, dandoci 3800 euro in dieci mesi. E non a tutte e tutti, anzi, a pochissime e pochissimi di noi.
E quando cerchiamo di spiegarvi tutto questo vi prego, anzi vi scongiuro, vi supplico non diteci mai e poi mai e ancora mai più: «e allora trovati un altro lavoro in questo momento!».
Perché, uno, grazie al cazzo. Dove lo trovo un altro lavoro in questo momento?
E, due, a un ingegnere, a un idraulico, a un operaio specializzato, a un medico, a un professore, non lo direste mai e poi mai e ancora mai. Lavoriamo noi? Cosa facciamo dalla mattina alla sera? Un cazzo.
Quest’anno per la prima volta abbiamo paura.»

«Eccomi», rilancia Pennacchi, «sono un artista, più o meno. Se proprio mi vuoi offendere sono un operatore culturale. E sono anche partita Iva. Per cui io ce lo su con Tremonti per due motivi. Primo, per la frase infelice «con la cultura non si mangia». Il secondo è l’anticipo dell’Iva, che però, vabbe’, lasciamo stare.
In quanto partita Iva che macina e paga le tasse sono anche la dimostrazione che in fondo con la cultura si mangia, e non sono solo, perché c’è tanta gente che vive di cultura del proprio lavoro, di arte.
Sono anche privilegiato, in questo momento: son qua per lavoro, sono a Venezia per lavoro, una Venezia bellissima, vuota, proprio per questo fa anche paura, perché una Venezia così ti rende impossibile non renderti conto che sta succedendo una roba grande che non è mai successa prima.
Molte persone che fanno cultura, arte, in questo momento, siccome si erano specializzate nell’andare live, i musicisti nell’andare in scena in teatro, nel gestire il territorio, fare i laboratori, fare attività anche sociali, non stanno lavorando… prima lavoravano, adesso no. […]
E sono di nuovo a parlare di schei. Ma non mancette, ristori, di diritti e di doveri dei professionisti. È l’occasione di fare una cosa concreta. Non vi faccio la lagna, la cultura che muore, c’è bisogno di sostenere la cultura: faccio una chiamata alle armi.
Fatevi sentire, perché in questo momento farsi sentire significa avere un peso. Fatevi sentire, facciamoci sentire, facciamoci vedere.»

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