Ieri i giornali si sono ricordati di avere ancora il mio numero di telefono e mi hanno chiesto cosa ne pensassi della nuova edizione, in tono dimesso, di Occupy Pd.

Ho risposto, sobrio: occupai. Tanto tempo fa. Come potete verificare l’espressione nacque per caso, nel 2011. Al governo andava Monti. Poi fu ripresa nel momento in cui i 101 portarono al Prodicidio (mai chiarito, ma quello che possiamo dire oggi è che c’erano dentro tutti, nell’operazione, chi più chi meno) e alle dimissioni di Bersani.

La cosa che mi colpisce, dieci anni dopo, è che i nomi delle persone coinvolte siano sempre gli stessi e, soprattutto, che nessuno se ne accorga. Si parla di reggenti che avrebbero potuto reggere già quando si dimise Veltroni (le analogie con il caso Zingaretti non sono poche). È una macchina del tempo in cui tutti gli ingranaggi sono bloccati.

E, se posso, è come sparare sulla croce non rossa: basterebbe leggere le ragioni stesse per le quali il segretario se ne è andato per disoccuparsi (disoccupy?) del Pd e immaginare una politica completamente diversa.

Chissà quando se ne renderà conto l’opinione pubblica. Forse quando avranno vinto le destre estreme con la maggioranza assoluta. O forse nemmeno quello basterà. Più avvincente il totonomi, le correnti sempre quelle, il giro di poltrone, l’eterno congresso del Pd.

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