Risuona un Vecchioni in lontananza, mentre Vassalotti rincasa. Che canzone era? Non se la ricorda più. Forse era Vorrei, o forse è solo suggestionato da Possibile.

«Vorrei ma non posso», ecco lo slogan che dovrebbero usare questi qui. Eppure c’è aria di nostalgia. Forse è la pandemia e la solitudine che porta con sé. Forse è il risvegliarsi di antiche passioni, che Vassalotti non ricorda nemmeno di avere mai avuto.

È che come quasi tutti, non ci crede più, Vassalotti. È diventato cinico. «E passata troppo merda sotto i ponti», come diceva sempre quel suo collega della Omicidi.

Vedere questi ragazzetti di Possibile lo mette in difficoltà. Ha finito di temperare matite. Le ha tutte allineate. Ha fatto ordine ma si sente più disordinato di prima.

Ormai il suo telefono è una raccolta di meme e di card entusiastiche, che questi continuano a pubblicare. E lui vorrebbe buttarle nel cestino o forse specchiarsi in quella passione, ma non gli riesce né l’una, né l’altra cosa. È solo un ispettore che fa il suo lavoro. Cinico, come deve essere il suo lavoro, secondo un noto luogo comune. Cinico come il mondo che gli tocca indagare ormai da troppi anni.

«Non farti fregare, Vassalotti», mugugna. «Sono tutti uguali». Vassalotti si ferma: «In verità, siamo tutti uguali».

E così, senza rendersene conto, sforna un nuovo slogan per Possibile.

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