Nel 2018 fondammo People, come ormai sapete. Pensavamo a una piccola cosa, che ci accompagnasse nel mondo del lavoro, mentre ci inseguivano le urla («Civati, vai a lavorare!!!1!»).

Abbiamo iniziato con umiltà, chiedendo consigli, trovando amici e colleghi molto generosi e, d’altra parte, un numero considerevole di porte sbattute in faccia.

Eravamo esordienti totali, fantozziani anche nella postura. Poi le cose sono partite, e hanno funzionato molto meglio di quanto ci saremmo mai aspettati.

People è cresciuta molto, nell’anno della pandemia, la sua struttura si è articolata e le cose vanno molto bene, per quanto ci riguarda. Dal punto di vista soggettivo, intendo.

Abbiamo una nuova sede, un e-commerce in espansione, costruiremo relazioni con altri soggetti “fuori” dall’editoria che vanno nella nostra stessa direzione, non dimenticheremo (anzi!) le librerie indipendenti, che come sapete sono al centro delle nostre attività, in questi strani giorni di semilibertà e di incertezza (ancora!).

Abbiamo una programmazione formidabile – almeno per noi – per i prossimi mesi e ne siamo molto soddisfatti. Di più, orgogliosi.

Quindi, quella che state leggendo non è una lamentazione. Tutt’altro. È una precisa denuncia politica, che spero risuoni, mentre la retorica sulla cultura scorre a fiumi e addirittura Sua Franceschinità – proprio mentre i suoi colleghi parlano di un nuovo lockdown – dice che si può andare a teatro in sicurezza. Sempre che di teatri ce ne siano ancora, con tutto il tempo che è passato, vero ministro? Che pena.

Ecco, tutti parlano di cultura, ma come sempre, alla base, c’è un fatto economico. E come sempre – sempre! – c’è lo sfruttamento e ci sono i guasti di un sistema apparentemente irriformabile.

Non ce l’ha ordinato il dottore, certo, ma ci siamo ritrovati in un settore, condizionato da conflitti di interessi di ogni sorta, in cui tutti sono “imparentati” e controllano fette di mercato spropositate, in cui il più grande non aiuta MAI il più piccolo. Anzi.

Nei primi giorni della pandemia, nel marzo del 2020, ci assicurarono che sarebbero stati al fianco degli operatori più piccoli, che avrebbero offerto condizioni vantaggiose. Non si è visto nulla. Anzi.

La logica di catena è quella della grande distribuzione, né più, né meno. Per insipienza, i principali attori del mercato italiano si sono fatti portare via da Amazon quasi tutto. E Amazon, per capirci, avrebbero potuto farla loro, anni fa. Avevano tutti gli strumenti, non li hanno usati.

In compenso, a cominciare da chi lavora nei magazzini, è tutto sfruttamento, anche nella tradizionalissima Stradella, dove si susseguono scioperi e denunce di cui non parla nessuno, forse perché gli editori dei libri sono anche editori di giornali e riviste.

Le percentuali sui prezzi di copertina rimangono tutte “in alto”, in una sorta di regressività (contrario di progressività), e di ulteriore spinta alla concentrazione e al condizionamento di tutti coloro che non fanno parte del giro stretto di chi comanda.

Ciò si traduce spesso in condizioni lavorative e remunerative ridicole per non dire indegne per chi lavora nel settore. Chi paga il giusto, si trova fuori mercato e si deve inventare soluzioni al limite della magia per andare avanti.

Con People abbiamo parlato spesso dello sfruttamento nei campi, quelli veri, quelli dei pomodori e delle angurie. Non dimentichiamoci però che proprio nel settore più “fico”, più blasonato, più à la page (letteralmente) si annidano meccanismi che umiliano lavoratori e operatori e – cosa ancor più grave – non liberano la creatività e non aprono al nuovo.

Se scorrete le scansie di una libreria – si direbbe con il buon vecchio Hume – trovate sempre i soliti autori. E se guardate i colophon gli editori sono padroni l’uno dell’altro. Fare emergere nuove talenti è impresa erculea. Creare discussione e dibattito è praticamente escluso, perché “non vende”. E tutto è legato a ciò che è passato in tv, nel weekend, come se fosse la nostra unica fonte di ispirazione. Il già noto. Il già conosciuto. Il già venduto, insomma.

Ecco, ci sono campi di carta, irrigati di inchiostro, dove tutto questo avviene. E finirà soltanto perché Amazon, un giorno, deciderà di diventare editore e distributore di ogni cosa, saltando gli intermediari che assomigliano sempre di più ai luigini di Carlo Levi (gli altri, nella dialettica, erano appunto i contadini).

E tutti si stracceranno le vesti. Quelli che non saranno arrivati nudi alla meta e ancora le vesti le avranno, s’intende.

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