L’attesa del lockdown è essa stessa lockdown. Sta passando anche la voglia di scherzare.

E dopo la doppia quarantena di questa primavera, 80 giorni, ci ritroviamo a ricominciare daccapo.

Chi più ha, più dia. Chi addirittura si è arricchito in questa assurda stagione, faccia la sua parte.

È il lodo Guenzi. E lo dice lui, mica Karl Marx. Però guai a parlare di progressività e di patrimoniale, meglio continuare con questo andazzo corporativo, in cui ciascuno si ritiene al centro del mondo e quindi del complotto, anche grazie a norme dalla dubbia selettività, per essere gentili.

L’impressione è quella di un Dpcm non decisivo né calibrato come avrebbe dovuto.

Abbiamo ripetuto per mesi di non dover inseguire il virus e invece stiamo facendo per la seconda volta la stessa cosa.

Delle cose fatte finora, non abbiamo nessuna vera valutazione sulla loro efficacia. Al di là della grottesca vicenda dei banchi a rotelle, nulla si è fatto per i trasporti, troppo poco per la sanità, e sulla scuola è stato tutto un andare e venire.

Si era parlato di lockdown definiti geograficamente, e non ne abbiamo fatti. Si era parlato per settimane del tracciamento che non ha poi funzionato.

Dopo la retorica dei balconi e degli inni, il continuo richiamo ai comportamenti individuali ha spinto ciascuno a tornare al proprio individualismo. È capitato a politici, opinionisti, virologi e epidemiologi (sì, anche a loro!) ed è diventato universale. Ognuno pensa per sé, si incazza per sé, si deprime per sé.

L’altro giorno ho visto un cartello: «Fuck the Polis». Ecco, abbiamo buttato via la politica e ora che ne avremmo bisogno non la troviamo più da nessuna parte. Non abbiamo sconfitto il Covid, ma la politica sì, e ci sono voluti anni ma ce l’abbiamo fatta.

Vorrei sbagliarmi ma questi ultimi Dpcm non servono a nulla. Li rispetterò, come credo sia giusto (la sindrome del Critone anche nei confronti di norme che in parte sembrano cretine, diciamo), ma temo siano solo la premessa di un altro tipo di chiusura.

Chiusura del resto è la parola dei tempi in cui viviamo. Ci siamo chiusi dentro, ciascuno nella propria caverna, e questo è il risultato.

  •  
  •  
  •  
  •  

Commenti

commenti