Ne avevamo parlato qui, all’inizio dell’annus horribilis.

Siamo felici di annunciare la pubblicazione del secondo volume di quella che ci auguriamo essere una serie.

Facendo riferimento al titolo del primo – Non esistono piccole storie – questo libro ha come titolo Non esistono piccole donne.

Riporto qui di seguito la prefazione di Gabriella Greison:

Siamo pieni di parole di cui non ci hanno insegnato il significato. O perlomeno, le abbiamo sempre sentite dire dagli altri, e ce ne siamo fregati. Ci andava bene così, stavamo vivendo, mica potevamo fermarci. Poi, arriva un momento nella vita di tutti noi in cui ci rendiamo conto. Come una lastra di ghiaccio che ci si infrange in faccia, non le vogliamo più dire, quelle parole a caso, come le abbiamo sempre sentite dire da quegli altri, ci dà persino fastidio il suono pronunciato in quella maniera lì. Abbiamo bisogno di altre parole, oppure a quelle stesse vogliamo dare un significato nostro, e inauguriamo un nuovo modo di porci nei confronti di quella situazione o di quell’argomento.Non parlo di parole come “bicchiere”, “melograno”, “frugale”, “recondito”, o “verdesca”. Parlo di parole che, messe insieme, formano una traccia indelebile per terra. E quando sono tutte sistemate per bene, una in fila all’altra, decidiamo noi da che parte metterci. Una traccia, un solco, di qua o di là, di questo sto parlando. Io mi metto dalla parte di Johannes Bückler, e delle sue frasi che compongono storie bellissime. Storie scritte su Twitter, e che vado a leggermi quando ho voglia di fermarmi.Non so che faccia abbia Johannes Bückler, nessuno lo ha mai visto, ma non è questa la cosa importante. Anche alla parola “faccia” si può dare un altro significato. La cosa che so di sicuro è che alle parole lui sa dare il giusto riconoscimento, le accarezza, le valorizza, ci tiene, e questo è sufficiente. Potrebbe benissimo essere donna, Johannes Bückler. Le sue storie sono raccontate come le viviamo noi. Storie contenute in questo libro, che sanno accompagnare lo sconforto. Quando ho scritto Sei donne che hanno cambiato il mondo, avrei voluto avere un’amica così che mi correggesse le bozze. La parola “donna”, un’altra di quelle parole. Una ricerca recente apparsa sul New Scientist ha questo titolo: «Scans prove there’s no such thing as a “male” or “female” brain» (Jessica Hamzelou, 2015). Questo articolo segna definitivamente, ai giorni nostri, una svolta. Ma noi lo sapevamo già, anche Rita Levi-Montalcini lo diceva molti anni prima: il cervello degli uomini e quello delle donne sono uguali, il resto sono scemenze. Scemenze che venivano usate dalla Nasa per escludere le scienziate dai progetti importanti, scemenze che altri usano per avvalorare le proprie tesi maschiliste e riportare la società al paleolitico, scemenze che fanno parte ancora oggi di pregiudizi, luoghi comuni e frasi fatte di cui siamo circondati. Uno dei modi per distruggere i pregiudizi e i luoghi comuni è quello di ascoltare chi le storie le sa raccontare, per renderci conto. Serve, ve lo assicuro.L’altro giorno ero presente durante l’organizzazione di un convegno scientifico importante, e ho sentito dire questa frase: «Per gli ospiti, chiamiamo una ragazza che li introduca, magari una carina che li porti sul palco». Poco dopo, ricevo una telefonata di invito a un festival; vado a fare una ricerca e scopro che viene pubblicizzato sui media come «La scienza rosa». Passa neanche un’ora, e mi arriva un’email che promuove un ambitissimo premio al quale concorrere, chiamato “Premio alle donne nella scienza”. Io sono fisica, sono scrittrice e porto a teatro i miei monologhi sulla fisica quantistica, sulle donne, e sui racconti che faccio nascere nei miei libri: le mie giornate trascorrono così, in parte, ma per lo più le passo a destreggiarmi tra queste strane cose che vi ho elencato – scemenze, appunto, che fanno parte della mia quotidianità. “Scienza rosa” o “premio alle donne” sono cose che non si possono più sentir dire: non siamo una sottocategoria del successo, come il tavolo riservato ai bambini durante le feste. Dare il microfono a una ragazza carina per presentare gli ospiti maschi fa ribrezzo: e quando l’ho fatto notare, mi hanno guardato come si guarda un bambino che esclama che da grande vuole fare il lavavetri.Oggi, più che mai, c’è bisogno di ricordarci da che parte stare quando diciamo le cose, quando usiamo le parole, perché siamo davanti a un cambiamento, e questa nuova traccia che si sta componendo per terra la formano le nostre parole. Questo solco è la società che lasceremo alle future generazioni.
Noi abbiamo ereditato un mondo che è migliore, anche rispetto solo al xx secolo. Le donne hanno dovuto combattere contro il pregiudizio, l’esclusione, la sottomissione: nemici impalpabili e per questo insidiosi, per vincere i quali non occorre il confronto corporeo, non la prevaricazione del forte sul debole, bensì la capacità di leggere attraverso quel pregiudizio per svuotarlo di senso e significato.Oggi siamo sulla strada giusta. E alla parola “giusta” sto dando il significato che solo io vorrei.Adesso non ci resta che ascoltare queste storie, le cui parole sono state messe in fila esattamente con quel significato, come fanno i grandi narratori.Quando non si è più da soli a fare questa operazione, e siamo in tanti dalla stessa parte, il mondo inizia a cambiare.

Gabriella Greison – Fisica, scrittrice, autrice e performer teatrale. È definita “la donna della fisica divulgativa italiana” e anche “la rockstar della fisica”. Scrive romanzi con la fisica a far da sfondo. Fisica quantistica, donne della scienza, fisici del xx secolo sono le sue ossessioni. Porta a teatro, e non solo a teatro e non solo in Italia, i monologhi tratti dai suoi libri.

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