Vogliamo i tamponi.

Anche se sono stati fatti dei passi avanti in queste settimane, ci arrivano ancora tante, troppe segnalazioni dell’impossibilità di fare #icazzoditamponi.

E abbiamo visto cosa succede, quando non se ne fanno abbastanza. Abbiamo confrontato i due “modelli”, Lombardia e Veneto, e sappiamo chi ha gestito meglio la situazione, e come.

Abbiamo visto cosa succede a non testare medici, infermieri e personale sanitario, con gli ospedali che in alcune zone sono diventati i primi focolai.

Eppure, ai test nemmeno un accenno, né nella conferenza stampa di ieri, né oggi.

Non possiamo perdere altro tempo, di questo si deve parlare: del tracciamento, dopo l’infinito dibattito su #Immuni e sulle altre venti app che dovevano caratterizzare la fase 2, sparite nello stesso buco nero in cui sono finiti i test sierologici e quella discussione sull’importanza della medicina di base e territoriale che rimandiamo da tanto, troppo tempo. E delle strutture intermedie per i dimessi ancora positivi, che eviterebbero il contagio alle famiglie e tutelerebbero i congiunti (rieccoli, proprio loro), anche quelli che abitano nella stessa casa di chi ha contratto il virus.

Perché lo sappiamo, lo sa anche Conte che lo ha ribadito ieri sera, che questa storia non è finita. I focolai si possono riaccendere, soprattutto se ci sono zone (quelle in cui troppo pochi hanno smesso di andare a lavorare, quelle in cui tutti ci torneranno dal 4 maggio) dove non si sono mai spenti.

A fare la differenza, sarà solo la nostra capacità di risposta.

Vogliamo i tamponi.

Con la speranza che queste settimane ci abbiano insegnato qualcosa.

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