Il cambiamento di fase presuppone che cambi qualcosa, tra una fase e l’altra. A parte nonne e fidanzati, poco o nulla. Soprattutto nella struttura, come scrivevo ieri.

Anche il Dpcm e Conte e le dirette. Dopo due mesi è il caso di tornare a una prassi più costituzionale e in linea con ciò che è previsto dal nostro ordinamento. Vorrei riprendessimo a parlare di istituzioni, insomma. Non della singola performance.

E vorrei tornassimo a parlare di democrazia, anche. Perché l’emergenza è argomento scivoloso e va trattato con cautela e sobrietà: abusarne, lo sappiamo, è pericoloso. E vorrei anche riprendere a parlare di federalismo, a livello europeo e anche nazionale. Perché ciò che abbiamo visto è centralizzazione e, insieme, casino a livello locale. Esattamente il contrario di ciò che dovrebbe essere, il federalismo.

Navigare a vista, senza averne, di visione: questo è il pericolo, certo indotto dalla difficoltà suprema del momento ma anche da una precisa sottocultura politica che purtroppo in questo Paese ha sempre avuto fortuna.

E mentre si discute e si specula, qui sotto è tutto un viavai di auto, come se fosse un giorno “normale”.

Anche il rapporto con i tecnici, dovrebbe essere bilaterale, se non addirittura rovesciato. Ne parlavo ieri con Enzo Di Salvatore: la politica deve tornare a indicare gli obiettivi. La “tecnica” spiega come si fa. E consegna alla politica gli argomenti razionali e gli strumenti necessari. Deve essere quantomeno un rapporto dialettico, non fideistico.

Se l’obiettivo è riaprire, non possono essere formule alchemiche a guidarci, quasi superstiziose. Dobbiamo avere gli strumenti sanitari e tecnologici adeguati. Ora. Prima. Di. Riaprire.

In questi due mesi, abbiamo fatto vedere cosa sanno fare gli italiani, insomma. Facciamo vedere che cosa sa fare l’Italia, rovesciando il motto risorgimentale.

La fase due, così, non libera e non protegge.

Scrive oggi Paolo Cosseddu su Fb: «E mi fanno sorridere i sondaggi col gradimento altissimo per il governo, mi ricordano il risultato del primo tempo della finale di Champions di Istanbul, mi fanno ridere i difensori da social del governo che accusano critici e semplici dubbiosi di gnegneismo ma che a parti invertite passerebbero la quarantena a fabbricare molotov, poi però smetto di ridere e mi vengono i brividi, altroché. Perché penso che se ci aspettiamo di superare una crisi – questa, e altre che verranno e che non si potranno combattere con mascherine e reclusione in casa, tipo chessò, il riscaldamento globale – grazie alla capacità di risposta della nostra società, siamo fottuti». 

Ecco.

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