Aprire il lavoro, con juicio, ma aprire anche la vita delle persone. Socchiuderla, almeno. Perché è urgente la questione economica ma troverà soluzione solo se si comporrà anche quella “esistenziale”.

Aprire le porte di casa ai piccoli, che forse i parchi non sono così pericolosi, o le piazze dove correre e pattinare. Almeno un po’.

Aprire una fase due per la terza età, perché ciò che è accaduto ci insegni qualcosa, verso chi è più anziano e fragile.

Aprire le finestre alla parola pubblica pulita e precisa, chiudere i balconi del comizio e della provocazione.

Aprire un dibattito sul futuro, non solo sulla quarantena dopo la quarantena: sulla fase che arriva “dopo”, sul modello di società, sullo stesso modo che abbiamo di guardare al mondo.

Aprire gli occhi sull’emergenza di cui non parliamo mai, quella climatica. Ora forse riusciamo a capire un po’ meglio che cosa si intenda per fine del mondo. E che cosa siano le possibilità e che cosa i rischi.

Aprire la democrazia e il confronto e le proposte, perché la politica è stata messa in mora – non da oggi – e invece ora servirebbe più di ogni altra cosa.

Aprire nuove forme di lavoro a distanza e di mobilità, che muoversi tutti nello stesso momento era una follia, anche “prima”.

Aprire una nuova stagione tecnologica applicata alla vita sociale, certo rispettosa della privacy ma capace di renderci la vita più semplice.

Aprire un libro, anche, che fa bene.

Aprire la porta dei diritti e il portone delle garanzie ai rider, perché finisca la quarantena e finisca il cottimo.

Aprire spazi pubblici in sicurezza. Far lavorare gli artigiani, quelli del legno e gli elettricisti e i muratori, ma anche gli artigiani della cultura.

Aprire la cultura, in ogni comune, in ogni occasione.

Aprire servizi che non c’erano. E che mancavano già nelle estati normali. Per le famiglie, soprattutto.

Aprire una stagione di redistribuzione della ricchezza, oltre che di incentivi per crearla, con la progressività e la tassazione sulla rendita e non sul lavoro, per incominciare.

Aprire la pagina dell’evasione e dell’elusione, perché tutti chiedono schei ma ciò può avvenire solo nel rigore e nel rispetto di ciascuno verso tutti gli altri. Chiedere e ottenere senza avere mai pagato e senza dare ciò che è dovuto sarebbe uno scandalo, una violenza.

Aprire alla prevenzione sanitaria, rispetto al Covid e non solo, con una strategia nazionale e regionale, partendo dalla medicina di territorio e, segnatamente, da #icazzoditamponi.

Aprire alla ricerca, che forse sapere le cose è meglio che tuffarsi nell’ignoto.

Aprire i porti ai disperati naufraghi del mare nostro dove muoiono loro. E anche i campi libici, una buona volta.

Aprire uno squarcio di verità su Giulio Regeni, liberare Zaki, riportare a casa Silvia Romano.

Aprire una via digitale semplice e immediata, modello Estonia, per tutte e tutti. «Una volta sola», non settordici passaggi.

Aprire questioni che da troppo tempo sono chiuse, come quelle che riguardano la filiera alimentare, che forse abbiamo ‘apprezzato’ in modo diverso da quando andiamo soltanto al supermercato, come unica esperienza sociale. Vedi alla voce: sfruttamento.

Aprire una breccia (sono 150 anni) sui pregiudizi che ci accompagnano, tipo la cannabis, che ne conosco millemila che l’hanno fumata, in questi giorni. Tutti “criminali”?

Aprire a un nuovo mondo, lontano dal razzismo, dal nazionalismo, dalla discriminazione. Un mondo che forse, oggi, sappiamo apprezzare di più.

Chiudere con il fascismo, sempre e per sempre. Questa tra le aperture è la suprema.

Buona Liberazione.

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