Vivo da settimane in una mia personale Stoà, minima, cercando di riflettere, cercando la morale, lasciando da parte il morale.

A questo proposito leggo di richiami moralistici all’Europa. Tutto giusto: la prova è di quelle decisive. Perché l’Europa è sinonimo di “ora o mai più”. Rivolgiamo però per prima cosa i richiami moralistici ai dirigenti di Confindustria che si sono opposti alla chiusura della Val Seriana, che dicono che è colpa degli animali (ma come cazzo), trovando ascolto e comprensione da parte dei peggiori politici della nostra storia. Dedichiamo un pensiero al Pio Albergo Trivulzio, alla storia raccontata dal Fatto a proposito di una famiglia di Cernusco sul Naviglio, a assessori che dicono di aver scoperto ora che avrebbero potuto istituire la zona rossa ma non l’hanno fatto. Allo scaricabarile di tutti verso tutti gli altri. Al tempo perso, all’obbligo di mascherine che non ci sono, ai tamponi reclamati anche da operatori sanitari che non riescono a farseli fare. Alle Rsa della Lombardia e agli ospedali dove ci si va a contagiare. A chi ha voluto andare avanti a muovere persone e merci anche nel bel mezzo di un focolaio: spingitori di virus. Alla truffa delle mascherine truccate! Tutte cose che non aiutano certo ad aiutarci e a farci aiutare dagli altri.

Siccome tra i soliti strateghi e gli apristi a senso unico (e senza senso) è tutto un proliferare di geni veri, torno al motto (socratico) “so di non sapere” e vi consiglio vivamente la lettura di questa intervista.

L’Italia si è fermata a Ebola, anzi prima, i piani pandemici (confrontare qui) sono rimasti lettera morta e di morti ne abbiamo contate un’infinità. E pagheremo l’impreparazione che abbiamo già pagato nelle ultime settimane.

La prima volta il virus si presenta in forma di tragedia, la seconda di strage.

Dice Ernesto Burgio, tra l’altro:

«Fin dall’inizio noi chiediamo – e, mi creda, ne abbiamo la documentazione, almeno dai primi di febbraio – di organizzare corridoi alternativi, perché il virus non doveva entrare negli ospedali. Se riusciremo ad avere un rallentamento e poi una diminuzione dei casi che consenta un ritorno a una certa normalità a metà maggio, la riflessione e gli investimenti dovranno essere indirizzati a ristrutturare quel sistema sanitario nazionale che è stato letteralmente devastato negli ultimi 15-20 anni di politiche liberiste e di privatizzazioni. Anni e scelte che hanno indebolito tutto, hanno ridotto il numero dei medici e dei letti. Dovremo inoltre, e non è una cosa secondaria, avere in dotazione tutto quel materiale di protezione che oggi soltanto l’ospedale Cotugno ha dato al proprio personale. Se non riusciremo a farlo rapidamente è evidente che una possibile/probabile seconda fase sia peggio della prima. Quindi sì alla ripresa dell’economia, ma rafforzando il sistema sanitario, e aiutando i cittadini ad avere una diversa consapevolezza: a essere informati, formati e protetti».

Ho letto ciò che scrive Salvatore Giancane, qui. A lui mi sento di affidare il commento del giorno, ricordando che la previsione conta più della prontezza di spirito, la pianificazione (impopolarissima da anni) più del facile e istantaneo consenso (popolarissimo dalle nostre parti).

«Erano quindi decenni che esistevano segnali che annunciavano in modo chiaro quanto sta attualmente avvenendo e studi e rapporti che ritenevano questo evento probabile nei prossimi anni e pertanto invitavano gli Stati ad organizzarsi. I Piani Pandemici sono stati scritti, ma sono rimasti sulla carta e non sono stati aggiornati nè sono stati mai messi in atto. Perché si presuppone che un Piano Pandemico non si limiti a definire le fasi della pandemia e poco altro, ma sia accompagnato da informazione e formazione del personale sanitario, predisposizione di piani di funzionamento dei servizi sanitari e degli ospedali durante la pandemia, acquisto e stoccaggio su tutto il territorio nazionale dei dispositivi di prevenzione individuale ed addestramento del personale al loro utilizzo, tramite corsi di formazione obbligatori, così come fatto per la prevenzione degli incendi,

Se tutto questo ci fosse stato, avremmo visto un altro film.

Possiamo immaginare che, in una politica sanitaria che ormai guarda quasi solo al risparmi ed al bilancio annuale, un investimento in questo senso (neanche troppo oneroso) sia sembrato una spesa superflua, per un evento che accade una volta ogni cento anni. Questo rende bene la misura di quanto sia grave ormai in tutto il mondo la totale ed assoluta mancanza di uno straccio di cultura della prevenzione. Possiamo discutere anni sui tagli fatti alla Sanità, su come sarebbe potuta andare se essi non fossero stati effettuati, ma resto fermamente convinto che anche la Sanità migliore, se non preparata a questo evento, non sia in grado poi di farvi fronte tempestivamente ed adeguatamente. Bisogna sapere già cosa fare, non improvvisare, in ogni ospedale, in ogni servizio sanitario, nelle RSA, nelle scuole, nelle fabbriche. Bisogna avere i dispositivi di protezione, per gli operatori sanitari e per quelli a contatto con il pubblico e bisogna saperli utilizzare. Qualsiasi latenza nella risposta, vuoi per la confusione, la disorganizzazione o la mancanza di attrezzature, è destinata ad avere effetti drammatici.

La prevenzione non richiede grandi investimenti, in compenso consente grandi risparmi. Pensate a quanto ci costerà questa pandemia e come sarebbero stati bene investiti quei soldi se ciò fosse stato fatto. Per ogni euro investito ne avremmo risparmiati migliaia, forse decine o centinaia di migliaia. Ma una Sanità consegnata a grigi burocrati, riorganizzatori al ribasso, bocconiani con l’isteria del risparmio e carrieristi mediocri non potrà mai avere questa lungimiranza, ma guarderà sempre e soltanto la punta delle sue scarpe, ovvero il budget annuale. Lo farà nell’illusione e nella convinzione di realizzare un risparmio e senza alcuna consapevolezza di stare in realtà ponendo i presupposti per una catastrofe economica.

Per tutelare davvero la salute dei cittadini bisogna anche saper guardare lontano ed in questi anni, chi ha provato a farlo, veniva considerato ‘fuori moda’ e ‘scarsamente disponibile al cambiamento’».

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