E invece non lo so e non lo saprò mai. Solo un suo thread, forse, ce lo potrebbe svelare, alla sua maniera: «Molti si chiedevano chi fossi e perché mi celassi dietro uno pseudonimo preso da un’antica vicenda tedesca…». Ma al primo tweet altri non seguirebbero: Bückler è clandestino e tale vuole rimanere e rimarrà.

E mentre tutti mostrano se stessi, in un selfizio universale, per essere cuorati o ripresi, lui ci appare con l’effigie di un bandito tedesco con un soprannome parecchio impegnativo. Al personaggio in questione fu tagliata la testa, all’inizio dell’Ottocento. E divenne leggenda.

Nel caso del Bückler attuale poco o nulla si sa. Le poche cose che si conoscono di lui potrebbero essere false piste, diversivi.

«Nessuno deve mai sapere chi sono io, nemmeno la mia famiglia», figuriamoci i suoi editori. «Voglio proteggere la mia vita tranquilla», ribadisce. Ma c’è una ragione che credo sia soprattutto letteraria. E se all’inizio lo pseudonimo serviva per denunciare le iniquità fiscali senza alcuna reticenza, quando Bückler ha deciso di raccontare le sue storie, il suo anonimato ha cambiato significato. E valore, soprattutto.

Perché il “senza volto” ogni volta cambia voce, storia, discorso, come se l’essere anonimo gli consentisse di assumere nomi diversi, ogni giorno, anzi, ogni sera, perché Bückler è la sera che scrive, alla fine di una giornata in cui tutto è stato fuorché Bückler. E con la voce muta toni. E argomenti.

Del resto, quelli di Bückler non sono follower, sono lettori. Si fanno largo tra le frasi più viete, le uscite più estemporanee, quella superficialità che dilaga, per scendere in profondità. O forse, meglio, salire.

Chi sia Bückler non ci deve interessare, dunque. Ciò che ci preme è sapere chi sarà domani, quando il sole sarà già tramontato e ci inviterà ad ascoltare una delle sue mille storie.

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