La pagina Facebook del Memoriale della Shoah di Milano ricorda:

18 settembre 1938: Mussolini annuncia la promulgazione delle leggi razziali.
Davanti a una folla festante di 200.000 persone, da un balcone di Piazza Unità a Trieste, Benito Mussolini lancia il lungo processo di emanazione di normative discriminatorie che parte nel 1938 e continua per molti anni.

È accaduto 81 anni fa, tanto tempo, pensa qualcuno. Eppure Liliana Segre di anni ne ha appena compiuti 89. Ed è qui a raccontarcelo. Ancora. Lo racconta ai suoi figli e ai suoi nipoti.

Due generazioni. Un tempo brevissimo. Non stiamo parlando della preistoria e a ben guardare nemmeno della storia. Stiamo ancora parlando di noi. Di ciò che abbiamo vissuto o c’è stato raccontato. Non solo dagli storici, appunto: dai nostri genitori.

La Milano di Liliana Segre assomiglia moltissimo a quella di oggi. E lei è italianissima – e milanesissima, preciserebbe. Eppure la piazza dei nostri nonni era piena, il 18 settembre del 1938. Eppure è successo poco fa. E qualcuno rimpiange quei momenti, per dire fino a che punto può spingersi la follia umana.

Lei partì dalla stazione da cui sono partito ieri, per tornare a casa. Lei provò ad attraversare una frontiera che i varesini e i comaschi conoscono bene. La frontiera sotto casa. La porta accanto.

Spazio e tempo, entrambi, così vicini. Così com’era vicina la sua scuola, a un passo dal Cenacolo di Leonardo, a casa sua. Dove consumiamo l’aperitivo, dove si muove l’economia del paese. Quelle strade sono le stesse di allora.

Non è questione di ritorni o di nostalgie (addirittura), questa è storia nostra. Attuale. Centrale.

Mi sono venute in mente le parole che il Presidente Sempresialodato Mattarella ha rivolto al suo omologo tedesco, qualche giorno fa, a Fivizzano, in Lunigiana. A proposito del rispetto che va portato ai nostri morti, ai morti italiani (qualcuno insiste sulla differenza), a noi stessi.

Sarebbe ingannevole pensare che quegli episodi siano avvenuti perché si trattava di un’altra, ben diversa epoca. Che chi se ne è reso colpevole appartenga a un tempo e un luogo lontani, che non sono quelli di oggi.

La pretesa che, in fondo, quei morti, quelle distruzioni, non siano attuali e che, quindi, non ci riguardino, quasi che fossero altre le comunità colpite, estranee le condizioni, è infondata. Quelle vicende non sono un passato doloroso ma archiviato, anzi, da dimenticare!

Al contrario, quei morti ci impongono di guardare con consapevolezza mai attenuata quei fatti.

Se accedessimo alla tesi dell’oblio, rischieremmo di dimenticarci anche che in quei drammi affondano le radici e le ragioni del lungo percorso che, attraverso la lotta in Europa contro il nazifascismo, attraverso la Resistenza, con il recupero dei valori democratici e di libertà, ci ha portato alle nostre Costituzioni e nel successivo percorso di integrazione europea, alla nostra comune prospettiva storica.

Se tutto questo non venisse sempre ricordato si realizzerebbe una fuga da noi stessi, dalla nostra storia, con il prevalere dell’incomprensione di ciò che siamo, con il prevalere dell’indifferenza, dell’estraneità verso ciò che autenticamente costituisce la nostra Repubblica.

Si tratta di un rischio grave, che ci ruberebbe quella nostra storia di sofferenza e di riscatto.

Offenderebbe il sacrificio dei nostri concittadini ai quali è stata sottratta la vita.

Pretenderebbe di annullare il lutto dei familiari e il dolore di un’intera collettività.

Questo non può accadere.

La grande intellettuale tedesca, Hannah Arendt, ci ammoniva: “E’ nella natura delle cose che ogni azione umana che abbia fatto una volta la sua comparsa nella storia del mondo possa ripetersi anche quando non appartiene a un lontano passato.”

Nel corso della visita ufficiale compiuta a Berlino nel gennaio scorso, ho trovato lo stesso messaggio, all’ingresso del memoriale per gli ebrei assassinati d’Europa, espresso con parole di Primo Levi:

“È accaduto, quindi può accadere di nuovo”.

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