Quando ho pensato di prendere i miei appunti su Alexander Langer per mettervi ordine e pubblicare una «rassegna stampa del futuro», ho pensato a una macchina del tempo.

Che riportava me al passato, a quando lo lessi per la prima volta, e che però mi riportava subito all’oggi, anzi, al domani, e ai lettori a cui questo libro è dedicato.

E così a una prefazione di Lucio Cavazzoni corrisponde una postfazione di una ragazza che è nata dopo la morte di Langer, Irene Scavello, che ha riflettuto su quei testi di quando lei non c’era ancora.

E tutto sembra tornare, e non intendo solo dal punto di vista editoriale.

Perché quando si sta in alto – e le pagine di Alex in alto ti ci portano – si vede meglio, si guarda lontano. E si costruisce quel ponte tra le generazioni che è mancato, prima culturalmente e poi economicamente, nel nostro Paese.

Nel frattempo, guarda un po’, nascevano gli scioperi e le manifestazioni dei ragazzini, a cui aveva dato il là quella ragazza svedese che di Langer potrebbe essere la nipotina. E sono stati i ragazzi a parlare agli adulti, a ricordarci cosa significa il futuro, perché noi ce n’eravamo dimenticati. Siamo sulla difensiva, siamo conservatori. E come tali votiamo. L’analisi del voto, a volte, è molto più semplice di come ce la immaginiamo.

Senza scomodare il solito Enea, qui il protagonista è Ascanio proprio. Il figlio di Enea, nipote di Anchise. Che appena ha iniziato a frequentare le superiori, ha visto cose che noi umani non vedevamo più. Di cui non ci curavamo.

Altro che vaffanculo o rottamazione. Di più. Qui, ci sono i giovani che non vogliono eliminare i vecchi, qui ci sono i giovani che spiegano alle persone più mature e più potenti di loro che bisogna cambiare: per rimanere alla metafora alpinistica, loro vedranno cime che a noi sono negate, per ragioni banalmente anagrafiche. E ci chiedono giustamente di smetterla di inquinargli le borracce e di riempire i loro zaini di rifiuti, fossili e altre schifezze. E di non chiudergli il sentiero davanti.

Ascanio ci invita a parlarne e ad agire. E dobbiamo solo ascoltarlo e intervenire. Chi non lo farebbe se si trattasse del proprio bambino? Perché di questo si tratta. Ascanio è Nina, per me. E sono certo che avete un Ascanio anche voi, a cui pensare, mentre leggete queste righe.

Il cerchio si chiude, quindi. E la storia finisce bene: Anchise era riluttante, ma si fece convincere, Enea fece il suo dovere e si salvarono. È una questione generazionale, che solo per le nostre responsabilità politiche è diventata conflittuale. Perché la generazione dovrebbe semplicemente portare alla successiva. Se vogliamo tornare in noi stessi, almeno per una volta.

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