Francesca Rigotti, un’autrice per cui nutro una venerazione totale, ha scritto un (altro) libro strepitoso. Si intitola Migranti per caso. Una vita da expat, lo pubblica Raffaello Cortina ed è il testo più indicato per affrontare l’estate torrida e limacciosa che è iniziata con il caso Sea-Watch.

Rigotti affronta la migrazione dal punto di vista soggettivo di chi si è trovato per scelta, per necessità e spesso per caso a vivere in un posto che non era il suo. O che non aveva messo in conto lo fosse.

Lei per prima (prima i migranti!) ha condotto una vita da expat. Racconta di sé in chiave personale e filosofica e perciò si mette in gioco rispetto al tema, più grande di lei e di ciascuno di noi, delle migrazioni, a cui cerca di restituire una misura e una proporzione rispetto alla nostra vita.

Centro del libro è il capitolo dedicato alle «metafore acquatiche» e al modo che abbiamo – che pare l’unico che conosciamo – per parlare di migrazioni. Che nega proprio il punto di vista soggettivo e la considerazione di chi migra come persona, che è invece la ‘proposta’ che Rigotti avanza e ci sottopone, in una ricerca di se stessa che è anche ricerca di noi stessi. Da expat, e un po’ da migrante, come è capitato anche a lei.

Un libro colto e accessibile, spiritoso dove deve esserlo, dolce nel racconto dell'”esilio”, carico di umanità. Che non vuol dire essere buoni, ma ragionevoli e presenti sì, prima che tutto vada perduto, in un’alluvione di polemiche e di strumentalizzazioni che nuocciono a tutti. Anche a chi pensa di non naufragare mai, ma appartiene a quella nazione che più di ogni altra, nell’Occidente, espatria e migra, verso un altrove individuato e preferito o dettato dalle circostanze. E spesso per caso.

  •  
  •  
  •  
  •  

Commenti

commenti