Tra mille tweet disumani, le fake prodotte direttamente dal governo e da un certo negazionismo che si fa strada ogni giorno, ho trovato due tweet che mi hanno riportato alle ragioni per le quali ho scritto Voi sapete. L’indefferenza uccide, il testo che ha dato vita a una lunga campagna attraverso l’Italia.

Segnali di ripresa scrive:

Leggendo Primo Levi una delle cose più agghiaccianti era il fatto che i sopravvissuti non venissero creduti, li si accusava di esagerare. Gli stessi che oggi parlano di foto manipolate e bambolotti.

Licia Troisi aggiunge:

Comunque, la domanda “come è stata possibile la Shoah, la gente non sapeva?” ha trovato risposta. Lo sapeva e non gliene fregava niente. Come a noi frega niente delle decine di migliaia di persone che vediamo, letteralmente vediamo, annegare nei nostri mari.

Tutto questo era iniziato prima di Salvini, con colpevole responsabilità del governo precedente, di chi l’ha sostenuto, di chi ha celebrato la riduzione degli «sbarchi» (parola già orientata) a qualsiasi costo umano e morale.

Ora però il ricorso alla menzogna, alla bugia, alla fake e all’inversione è diventato uno strumento politico quotidiano, una pratica di governo, la matrice di ogni iniziativa e di ogni parola usata da chi dovrebbe governare il Paese.

Bambolotti al posto dei cadaveri dei bambini, lo smalto di Josefa, la messa in discussione delle stesse foto del recupero della mamma e del bambino vittime dell’ennesimo naufragio, il racconto di un’imbarcazione dirottata di cui si è discusso, strumentalmente, per giorni, benché si sapesse che non si trattava affatto di un episodio di quella gravità.

Menzogne costruite e diffuse non soltanto da occasionali commentatori fascisti, ma alimentate in modo organizzato e recepite, in tutto e in parte, dagli stessi ministri del governo attuale. Come i porti chiusi per poi smentire di aver chiuso i porti, in una danza macabra, alla ricerca di qualche voto in più, perché quelli ottenuti con promesse impossibili paiono non bastare.

E poi la narrazione della «pacchia» e della «crociera», per ribadire un concetto semplice: che i neri d’Africa stiano meglio degli italiani, che il migrante sia un privilegiato, nemmeno si trattasse di una «casta» (curioso che il termine non sia stato adoperato anche per loro).

Ogni parola fa pensare che non si tratti di veri e propri essere umani, ma di sotto-uomini: non individui, ma numeri, non comunità, ma orde.

I buoni diventano cattivi, chi salva vite in realtà lo fa per interesse, pagato da chissà quale miliardario (possibilmente ebreo), non vi è distinzione tra chi traffica con gli esseri umani e chi li salva dall’annegamento.

Tutto questo è già accaduto, con modalità diverse e però con una fin troppo evidente analogia, nella storia europea. È già capitato che non solo una parte politica estrema, ma gli stessi governi raccontassero cose non vere – anzi, letteralmente rovesciate – per alimentare l’odio e la sua sorella maggiore, l’indifferenza. Cento anni fa, il nazionalismo. Settant’anni fa, le leggi razziali, e quelle parole d’odio che diventano dittatura e poi sterminio, come Liliana Segre ricorda ogni volta che può. Parole eccessive che vogliono rovesciare l’eccesso su chi ad esse si ribella, come i nazifascisti fecero, cercando giustificazioni scientifiche e raccontando menzogne tanto impensabili quanto la realtà che intendevano coprire: un nome per tutti, Terezín.

Questa deriva, come già in passato, può degenerare ulteriormente o può fermarsi, per tornare a comporre il dibattito in una dialettica dura quanto si vuole, ma mai irrispettosa delle persone, dei loro corpi e delle loro vite.

Dipenderà da voi, dipenderà da noi. Voi che sapete, noi che sappiamo.

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