In questi giorni, i titoli dei giornali ci parlano di un’Europa che non c’è già più, tra «agenti armati e uffici per l’identificazione» ai confini interni, confini che «rinascono» sui passi alpini, lungo il Danubio, alle frontiere ormai dimenticate, insieme a parole e a toni infervorati che erano di moda giusto cent’anni fa, tanto che ormai manca solo Franz Ferdinand.

Eppure i migranti dei cosiddetti «movimenti secondari» – ovvero dentro l’Europa – sono 63.691 su una popolazione totale europea di circa 600.000.000 di persone. Lo 0,01 per cento della popolazione.

Il mezzo sono i migranti, il fine e l’obiettivo è però ancora più ambizioso ed è rivendicato sulla stampa di una destra sempre più estrema: è la distruzione dell’Europa.

Si affidano a Kurz, che ricorda fin dal nome il «Cuore di tenebra», e Seehofer, un nome e un destino anche il suo, che hanno optato per l’orbita di Orbán e del gruppo di Visegrád. Sullo sfondo Putin, che da sempre punta all’indebolimento strategico della Ue, e ha diffuso il verbo presso i politici europei, a cominciare da qualche ultrà della destra italiana, che ora siede nel Consiglio dei ministri.

Nel frattempo, Conte sembra, dopo solo un mese, un nobile decaduto, che gira presso le sedi eleganti della politica ufficiale, mentre è Salvini a telefonare a destra e a destra, per definire la strategia politica dei neri europei.

Marine Le Pen festeggia: «è l’inizio della fine per l’Unione», con «il ritorno delle frontiere nazionali». Teorizza, Le Pen, il ritorno a prima della fondazione dell’Unione, con accordi bilaterali tra i paesi, secondo una ben nota e italianissima tradizione, di cui ho parlato qui. Le fa eco Steve Bannon, «L’Ue scricchiola, tornano gli Stati», celebrando l’Italia come «certo di questa rivolta nazionalista».

Un meccanismo automatico che si fa forte delle incertezze di questi anni, delle scelte miopi e conservative di chi ha governato l’Europa finora, dell’incapacità di visione delle sue classi dirigenti.

In tutto questo viene da chiedersi che cos’abbia da guadagnarci l’Europa nel suo complesso dai «duri» e dai loro «muri» e che cosa in particolare abbia da guadagnarci l’Italia, immersa nel Mediterraneo, strutturalmente debole dal punto di vista istituzionale, diseguale al proprio interno, con dati economici non proprio esaltanti. E che cosa in particolare abbiano da guadagnarci i più deboli. Ma di questo, come nel Novecento, ci renderemo conto dopo. Molto, troppo tardi.

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