«Chi arriva dalla Libia dice una parola sola: inferno». Siamo a Prato per la presentazione di Voi sapete e Francesca Ranaldi inizia così.

Ranaldi lavora per la cooperativa Alice, da anni impegnata nella cura e nella accoglienza delle donne vittime di violenza e della tratta incessante che porta in Europa le ragazze africane.

«L’inferno»: e di gironi e di scene bibliche e di caronti che ti riportano indietro sono pieni i racconti di chi attraversa il Mediterraneo, come Stella, che ha ripercorso con noi la sua storia piena di dolore e di angoscia e che è venuta con la sua bambina, piccolina, che vorrebbe vivesse lontana da questa violenza.

«Sono racconti che sono ben noti al ministero dell’Interno, che attraverso le commissioni territoriali ha modo di raccogliere migliaia di informazioni in proposito, ogni mese», ricorda Silvia Masciadri, che lavora per un’altra cooperativa, Pane e Rose.

Masciadri ricorda come la Libia non sia un Paese terzo sicuro e che quindi qualsiasi respingimento violi le convenzioni internazionali, come le violano queste frontiere «esternalizzate», spostate più in là perché con i nostri soldi qualcuno possa fare il lavoro sporchissimo di chi imprigiona migranti e li sevizia, li tortura, li stupra e li vende come schiavi.

«Tutte le persone che arrivano dalla Libia sono vittime di trauma». E quindi la lunga catena di violenze e di soprusi arriva fino a noi e richiederebbe interventi di inclusione e di tutela molto più sofisticati e strutturati.

Eppure le prefetture hanno capitolati che non funzionano, che limitano e a volte impediscono l’accoglienza diffusa e di buona qualità, all’insegna di una crescente medicalizzazione, dell’imperativo del «controllo» e dei «grandi numeri», molto popolari anche sulle pagine dei grandi giornali.

Se l’accoglienza è questione così delicata non può essere affidata a chi fa l’albergatore, come invece accade in tutta Italia, sostiene Masciadri, che si dice preoccupata per il futuro, alla luce di ciò che è accaduto nell’ultima legislatura e di ciò che si prepara per la prossima. Per Ranaldi i problemi amministrativi si inseriscono in una questione più grande, che è insieme culturale e politica: dobbiamo «trasformare le informazioni astratte in persone reali», per aumentare la consapevolezza circa il fenomeno migratorio, superando gli elementi che rimuoviamo con troppa superficialità, come se non ci riguardassero.

Peccato che sia un lavoro che la politica non vuole fare più, tutta interessata a speculare sul fenomeno migratorio, con parole d’ordine che creano solo disordine, con termini opachi come quelli di chi non cerca la soluzione ma vuole ‘gestire’ il problema per il proprio interesse di parte. A destra e purtroppo anche in quella che fu la sinistra. Una volta, ormai parecchio tempo fa.

[Altre storie e denuncia – che voi già conoscete – su voisapete.it e su noemergenza.it]

  •  
  •  
  •  
  •  

Commenti

commenti