Le notizie che stanno emergendo sul versante maltese (a partire anche da un’ottima inchiesta di Repubblica) ci parlano di molte cose, come se in un’isoletta del Mediterraneo si concentrassero tutte le contraddizioni della Ue e di un certo modo di intendere la globalizzazione.

L’isola è piccolissima, ma è in questo senso una miniatura, un microcosmo: una giornalista che salta in aria con la propria auto, un governo socialdemocratico (!) che si muove da pirata dei Caraibi (altre isolette di cui non essere invidiosi), traffico di stupefacenti e di esseri umani, mafie giunte da ogni confine, isola del tesoro per investitori controversi, accesso alla cittadinanza, negata ai poverissimi e ai disperati ma garantita a chi ha grandi disponibilità economiche.

Una cittadinanza maltese che è anche europea, a cui si può accedere senza darsi troppo pensiero sulla provenienza della persona e sui capitali che ne garantiscono l’accesso.

Malta come patria degli Eloi, seguendo le pagine di Wells e il «cattivo sogno» di Walter Siti. Un paese che a dispetto del nome può diventare il simbolo della disgregazione europea: colpisce che nessuno abbia posto con veemenza la questione, perché è evidente che un paradiso fiscale con annessa anagrafe esclusiva dei miliardari del non-importa-da-dove-vengano-i-soldi sia una questione insieme piccola e gigantesca per la tenuta e la credibilità dell’Europa, sulla stessa linea di Lampedusa e nel bel mezzo del cimitero d’acqua e sale che ci separa dal continente africano. Così come quel «muro di Dublino» che ha sostituito quello a cui eravamo abituati ai tempi della Guerra fredda. Cose che capitano, mentre parliamo d’altro, con la politica si siede sempre dalla parte del torto, con pessimi amici da cui dipende e senza rendersi conto delle conseguenze devastanti a cui questi comportamenti e queste scelte conducono. Poi parlano di perdita di fiducia verso il sistema. Già.

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